venerdì 4 maggio 2012

#Mercuziononvuolemorire: il sogno reale di Punzo

Mercuzio è il personaggio di Shakespeare. Il portatore del sogno, l’artista che eleva la propria immaginazione verso mondi irreali per gettare uno sguardo più intenso sul reale, l’innamorato della vita. Per paradosso, proprio lui che non vuole morire, viene sacrificato da Shakespeare per primo e per due volte. “Tu parli di niente” obietta Romeo a un Mercuzio che parla dell’ineffabile. Un primo colpo, fatto di parole, che sancisce la fine metaforica del giovane sognatore, seguito dal secondo colpo di una spada che ne trafigge la carne uccidendone il corpo mortale. È il principio della fine. La storia procede inesorabile verso l’annientamento progressivo di tutti gli altri personaggi. Resteranno in vita gli adulti. I Montecchi e i Capuleti, le due famiglie che si disputano, i genitori dalle mani insanguinate colpevoli della morte dei propri figli. Restano i cittadini, colpevoli di aver osservato il disfacimento immobile.

Romeo e Giulietta ricalca senza sbavature una storia che si perpetra da sempre. I genitori scellerati che uccidono i propri figli con azioni sconsiderate o con il silenzio, con l’inettitudine; i padri che annientano il futuro della propria prole. È la Storia che fa il suo corso. È l’albero che pur desiderando la quiete continua a subire i capricci del vento.

In bilico tra due mondi, incrostato di terrestrità e ricolmo di leggerissimo elio che protende verso il cielo, c’è Mercuzio. Colui che tenta di sottrarsi alla Storia, colui che tenta con il proprio leggero pensare di sottrarsi alla pesantezza della vita e di innalzarsi al di sopra della crosta reale. L’uomo sulla soglia che tende verso l’uscita, che riesce a vederla con chiarezza e che può testimoniare della presenza di un mondo diverso. Ma Shakespeare, più realista del re, lo fa morire subito spezzando ogni possibilità. È qui che interviene Armando Punzo, un Mercuzio in carne e ossa, che guarda ai margini del testo e decide di aiutare il giovane sognatore a ribellarsi alla tirannia del padre Shakespeare.

Nasce così il progetto “Mercuzio non vuole morire”. Progetto di uno spettacolo, in principio, che ha assunto nel tempo contorni sempre più larghi, configurandosi come una vera e propria corrente di pensiero, come una religione laica che ha maturato e matura un “fedele” dopo l’altro. Staccatosi dalla pagina scritta, il personaggio shakespeariano è arrivato in piazza, nelle case, tra la gente comune. Abbattuta la barriera attore-spettatore, i cittadini di Volterra e di Pomarance (le prime due cittadine coinvolte direttamente) diventano interpreti di se stessi, portatori attivi della propria idea di Mercuzio, testimonial consapevoli della città che si rinnova, che ritrova il coraggio di sognare e di credere nella possibilità di un’ idea, di un pensiero.

È un lavoro che, pur rintracciando le proprie fondamenta nell’uomo tout court inteso come entità filosofica sganciata da ogni riferimento spazio temporale preciso, giunge in un momento specifico, a ridosso di una fase storica complicata, aderendo con schiettezza assoluta alla contemporaneità e caricandosi inevitabilmente di altri significati.

Immaginiamo la vita contemporanea come un’enorme serra in cui proliferano vite immerse in uno spazio che, da un punto di vista relativo, appare sconfinato e aperto ma che, a uno sguardo d’insieme, rivela una cappa che lo ingloba completamente. Che ricopre singolarmente ciascun individuo intrappolandolo in una gabbia di vetro.

Nello spazio-tempo quotidiano, la vita scorre scandita dai ritmi di un meccanismo che regola i comportamenti e i pensieri degli individui. La diabolicità di questo meccanismo risiede nella sua invisibilità, nell’impossibilità, cioè, da parte di chi è assorbito nella sua orbita, di accorgersi di essere contenuto in questa scatola trasparente.

Mercurio spezza il legame con il livello ordinario della vita, si cala in una dimensione extra-ordinaria, e così i contorni della ragnatela assumono consistenza, si definiscono in tutto il loro subdolo potere avvolgente. Partendo, con la sua valigia di sogni, dal carcere di Volterra, espande per cerchi concentrici il suo potere verso nuovi spazi. “Ciò che avviene in carcere è un bozzetto, un’azione magica che s’irradia all’esterno” spiega Punzo.

Mercuzio, allevato nel crogiuolo di una comunità ristretta, carica il suo bagaglio di leggerezza e si mette in viaggio verso altre comunità, come un’onda morbida, che s’insinua negli interstizi. Non è una moda. Non si diffonde in pochi istanti, non travolge, non si esaurisce. È un fluire lento, fatto di parole, d’incontri, di chiarimenti, di discussioni. Una modalità di pensiero che affonda le sue radici in profondità, o meglio, che riscopre radici profonde. Mercuzio è uno scultore che, rimuovendo parola dopo parola scaglie di marmo, levigando, porta alla luce, dal freddo blocco di marmo, un’opera che esiste già, un nucleo caldo sopito, anestetizzato.

La metafora non è azzardata: “Mercuzio c’è già in ognuno di noi” dice Punzo “è la realtà concreta che lo nasconde, sono le pietre della città che lo rendono invisibile, pietrificando anche gli uomini”. Mercuzio, dunque, non aggiunge nulla, non impone in positivo. Rivela, scopre. Opera sul materiale vivo della coscienza inducendo uno sgorgamento spontaneo del pensiero.

Il giovane viaggiatore si assume il compito di scrostare la patina che avvolge la vita, di rimuovere lo strato ovattato che inibisce la capacità di sognare, di elevarsi due metri dal suolo, di immaginare nuove possibilità.

Il lavoro di Punzo consiste, soprattutto, nell’aiutare Mercuzio a trovare compagni di viaggio che lo aiutino ad arrivare sempre più lontano. A trasformare quei tre o quattro cittadini inerti del testo di Shakespeare in una massa travolgente. Un viaggio solitario, più facile da gestire, significherebbe sferrare il terzo colpo a Mercuzio. Quello definitivo. E' un’avventura rischiosa, senza dubbio, ma necessaria. D'altronde la Compagnia della Fortezza  ci ha abituato a questo ed altro.

Rossella Menna

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