martedì 20 maggio 2014

La notte di Helver

Quattro pareti avvolgenti, una cucina, una radio sullo sfondo e una finestra che fa intravedere le minacce del mondo esterno: il Kamerni Teatar 55 allestisce un teatro tradizionale, dove a contare soprattutto sono il testo, fatto di parole che colpiscono come pietre, e la forte fisicità e impressionante immedesimazione di Mirjana Karanović, la “prediletta di Kusturica” (foglio di sala) e il giovane Ermin Bravo nei ruoli.  Dall’inizio alla fine i due mattatori tengono in pugno lo spettatore tra alti e bassi di tensione, scontri, incontri, abbracci, carezze, mani intorno al collo – tutto questo nonostante la difficoltà di seguire i sovratitoli, spesso purtroppo sfalsati.
Non contano nemmeno i dettagli secondari della storia, avvolti nella notte – il dove, il quando (la notte dei cristalli?), l’esatta relazione tra i due personaggi, che si evince solo in un secondo tempo – quanto piuttosto solo il “qui e ora”. E il qui e ora sono una donna, madre-moglie-sorella, nel suo ruolo di accuditrice, e un bambino-uomo troppo cresciuto solo fisicamente, Helver, che cercano un riparo dalle violenze del mondo.


La notte di Helver però è soprattutto mentale, Helver non ha difese razionali nei confronti del mondo, per lui è tutto un gioco: la guerra è un gioco, le marce, la svastica sul braccio sono un gioco, le violenze sui più deboli, sui disabili come lui, sono un gioco, forse crudele, ma inevitabile nella sua infanzia permanente.


E questi giochi entrano nello spazio protetto della casa, lo infrangono, e mettono a repentaglio in modo inquietante anche il suo rapporto con la donna-madre, in cui lui la domina all’ombra del potere del mondo esterno: entra in scena vestito come un soldato tedesco, sventolando la bandiera nazista. Poi però questo gioco viene mitigato dall’innocenza di Helver, dagli abbracci della donna che lo cullano, dal suo gioco infantile con i soldatini e per un momento il riparo sembra di nuovo prendere forma. Ma anche la donna mostra le sue debolezze, con le sue minacce a Helver di abbandonarlo alla clinica, cosa che all’epoca significava torture, esperimenti “scientifici”, molto probabilmente morte, perché lui sembra aver perso le lettere d’amore dell’ex marito che lei conservava. La violenza dell’esterno intanto si fa sempre più incombente: dalla finestra viene lanciata una torcia accesa e la donna cerca di mettere in salvo Helver facendolo rivestire da nazista. Ma l’unica fuga possibile è la morte: Helver non riesce a tenere fronte alle difficoltà esterne, troppo superiori rispetto alla sua innocenza, e alla donna non resta che farlo “addormentare”. La notte ridiscende sulla solitudine di lei di fronte alla minaccia sempre più incombente del linciaggio, con un rullio di tamburi sempre più forte e inquietante.
Un finale cupo e certo non consolatorio chiude lo spettacolo, che ricorda le violenze della storia, ma anche quelle attuali – il Kamerni Teatar 55 iniziò il suo lavoro di compagnia sotto le bombe a Sarajevo, durante la guerra civile – ma la vivida emozione lasciata dall’eccezionale performance dei due attori testimonia di un’unica resistenza possibile di fronte alle ingiustizie del mondo, e cioè raccontarle, trasmetterle, nella speranza che un giorno questo dolore non sia più necessario.

La notte di Helver, Kamerni Teatar 55
Visto alla Stazione Leopolda di Firenze, 17 maggio 2014

Fabio Raffo


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