Quattro pareti avvolgenti, una cucina, una
radio sullo sfondo e una finestra che fa intravedere le minacce del mondo
esterno: il Kamerni Teatar 55 allestisce un teatro tradizionale, dove a contare
soprattutto sono il testo, fatto di parole che colpiscono come pietre, e la
forte fisicità e impressionante immedesimazione di Mirjana Karanović, la
“prediletta di Kusturica” (foglio di sala) e il giovane Ermin Bravo nei ruoli. Dall’inizio alla fine i due mattatori tengono
in pugno lo spettatore tra alti e bassi di tensione, scontri, incontri,
abbracci, carezze, mani intorno al collo – tutto questo nonostante la difficoltà
di seguire i sovratitoli, spesso purtroppo sfalsati.
Non contano nemmeno i dettagli secondari della
storia, avvolti nella notte – il dove, il quando (la notte dei cristalli?),
l’esatta relazione tra i due personaggi, che si evince solo in un secondo tempo
– quanto piuttosto solo il “qui e ora”. E il qui e ora sono una donna,
madre-moglie-sorella, nel suo ruolo di accuditrice, e un bambino-uomo troppo
cresciuto solo fisicamente, Helver, che cercano un riparo dalle violenze del
mondo.
La notte di Helver però è soprattutto mentale,
Helver non ha difese razionali nei confronti del mondo, per lui è tutto un
gioco: la guerra è un gioco, le marce, la svastica sul braccio sono un gioco,
le violenze sui più deboli, sui disabili come lui, sono un gioco, forse
crudele, ma inevitabile nella sua infanzia permanente.
E questi giochi
entrano nello spazio protetto della casa, lo infrangono, e mettono a
repentaglio in modo inquietante anche il suo rapporto con la donna-madre, in
cui lui la domina all’ombra del potere del mondo esterno: entra in scena
vestito come un soldato tedesco, sventolando la bandiera nazista. Poi però questo
gioco viene mitigato dall’innocenza di Helver, dagli abbracci della donna che
lo cullano, dal suo gioco infantile con i soldatini e per un momento il riparo
sembra di nuovo prendere forma. Ma anche la donna mostra le sue debolezze, con
le sue minacce a Helver di abbandonarlo alla clinica, cosa che all’epoca
significava torture, esperimenti “scientifici”, molto probabilmente morte,
perché lui sembra aver perso le lettere d’amore dell’ex marito che lei
conservava. La violenza dell’esterno intanto si fa sempre più incombente: dalla
finestra viene lanciata una torcia accesa e la donna cerca di mettere in salvo
Helver facendolo rivestire da nazista. Ma l’unica fuga possibile è la morte:
Helver non riesce a tenere fronte alle difficoltà esterne, troppo superiori
rispetto alla sua innocenza, e alla donna non resta che farlo “addormentare”.
La notte ridiscende sulla solitudine di lei di fronte alla minaccia sempre più
incombente del linciaggio, con un rullio di tamburi sempre più forte e
inquietante.
Un finale cupo e certo non consolatorio chiude
lo spettacolo, che ricorda le violenze della storia, ma anche quelle attuali –
il Kamerni Teatar 55 iniziò il suo lavoro di compagnia sotto le bombe a
Sarajevo, durante la guerra civile – ma la vivida emozione lasciata
dall’eccezionale performance dei due attori testimonia di un’unica resistenza
possibile di fronte alle ingiustizie del mondo, e cioè raccontarle,
trasmetterle, nella speranza che un giorno questo dolore non sia più
necessario.
La notte di Helver, Kamerni Teatar 55
Visto alla Stazione Leopolda di Firenze, 17 maggio 2014
Fabio Raffo
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