domenica 8 giugno 2014

Il Canto Infranto de La Baracca - Testoni Ragazzi

Dalla palestra di una scuola di Villa Fontana (frazione di Medicina) escono i ragazzi del laboratorio residenziale organizzato da La Baracca - Testoni Ragazzi. Sono eccitati, felicemente stanchi, hanno dormito tutti insieme in palestra per l'ultima notte e c'è chi già si rattrista. In due giorni molto intensi, diretti da Gabriele Marchioni ed Enrico Montalbani del Teatro Testoni, Andrea Campiglio Rodegher del Teatro Prova di Bergamo e Jorge Martinez Moreno dell'Università Autonoma di Barcellona, i giovani si sono confrontati con il tema molto complesso della violenza. Il Cantamaggio, che fin dalla sua nascita (1998) si è sempre occupato di tematiche sociali, quest'anno si lascia coinvolgere dalla storia di Carmela, una tredicenne che, in seguito a una violenza, decide di togliersi la vita perché la sue richieste di aiuto restano inascoltate.
Il Cantamaggio nasce dall'esigenza dell'incontro e della condivisione di un'esperienza che si apra al confronto, rifuggendo da ogni tipo di competitività. Cento giovani, attraverso la modalità del laboratorio, imparano ad ascoltare l'altro e a entrare in sintonia con se stessi, e mostrare poi i risultati ottenuti con un esito spettacolare, Canto Infranto. Il tema dell’ascolto è stato una costante del laboratorio, sottolineato soprattutto dalle parole di Bruno Cappagli, uno degli ideatori del Cantamaggio: i ragazzi sono stati incitati a percepire profondamente il senso delle parole pronunciate, a prendere coscienza del tema della violenza, un problema così quotidiano che ormai ci lascia indifferenti, come di fronte a una condizione normale e irreversibile. La violenza, sia fisica che psicologica, viene così analizzata ad ampio spettro: riguarda tutti, donne, uomini e bambini.


A poco a poco la palestra si svuota, tutti i materassini, giacigli provvisori dei tanti giovani accorsi al Cantamaggio, vengono riposti e si parte alla volta di Medicina, dove ad attenderci ci sono il resto dei partecipanti. Vengono da diverse parti d'Italia, ma non solo: molti di loro infatti sono spagnoli. Il loro palcoscenico è un prato verde; una dolce collinetta che lo sovrasta, creando una sorta di anfiteatro naturale, è la platea di noi spettatori. Oggi i ragazzi mostreranno il proprio lavoro e c'è ancora tanto da fare. Il sole scotta, sono stanchi e accaldati, ma hanno una grande voglia di sperimentare e di mettersi in gioco. Bruno Cappagli ha il compito di combinare le diverse parti di questo grande coro di giovani di tutte le età e lo fa con pazienza e dedizione. Dopo aver assistito al montaggio e alla prova generale, ecco finalmente lo spettacolo.
L’inizio accende fin da subito la curiosità del pubblico: all'improvviso un nutrito gruppo di ragazzi corre verso il centro cantando e tenendo stretto tra le mani chi un palloncino azzurro, chi uno rosa. ''È nato, è nata!″, gridano. Un simbolico parto annuncia la nascita di un maschietto e di una femminuccia, che, attraverso le parole degli adulti che ne commentano l'aspetto e ne decidono già il futuro, si ritrovano ben presto ingabbiati negli stereotipi di genere. Si pone il problema dell'identità: chi sono io se esco fuori da uno schema preesistente che mi caratterizza quale maschio e quale femmina? Chi sono io se decido di non conformarmi a una serie di ruoli già predestinati? Nello spettacolo viene utilizzato l'espediente del filo rosso: ogni ragazzo ne ha uno tra le mani, e lo utilizza per disegnare sul prato un quadrato dentro il quale posizionarsi. Esso rappresenta l'identità di ognuno di noi, che si frantuma nella necessità di dover rispondere a queste domande. È il filo rosso del nostro essere che, se da una parte mette in contatto il nostro mondo con quello dell'altro, dall'altra delimita un confine tra il nostro spazio e quello degli altri, uno spazio sacro che non va violato e che non abbiamo il diritto di violare. Il coro di giovani è ora letteralmente imbrigliato in una ragnatela che li avviluppa, quella dei luoghi comuni, nella quale si rischia di restare soffocati.
Il mondo femminile e quello maschile, dei quali si dovrebbero ascoltare e accogliere le naturali differenze, diventano campo di battaglia in cui combattere in nome dell'incomprensione.
Lo spettacolo si chiude con una lunga fila di scarpe rosse: si tratta di un omaggio all'istallazione Zapatos Rojos, realizzata nel 2009 dall'artista messicana Elina Chauvet. Scarpe rosse come il sangue, come la violenza, come labbra che si serrano di fronte alla possibilità di parlare, di denunciare. Delle donne restano solo le scarpe. I ragazzi si avvicinano al pubblico e lentamente consegnano a qualche spettatore l'estremità di un lungo nastro bianco. Ora gli attori e il pubblico si trovano insieme a osservare un mucchio di scarpe rosse, vuote. E pronti a scegliere.
Anche quest’anno il Cantamaggio diventa luogo di riflessione, in cui ragazzi di diverse età e diverse culture, attraverso il confronto con gli altri e grazie allo strumento del teatro, possono prendere una posizione chiara nei confronti della realtà che ci circonda e che oggi, più che mai, ha bisogno di ripartire dai giovani per recuperare un senso.

Visto il 1° maggio a Medicina.

Nella Califano



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