Dalla palestra di una scuola di
Villa Fontana (frazione di Medicina) escono i ragazzi del laboratorio
residenziale organizzato da La Baracca - Testoni Ragazzi. Sono
eccitati, felicemente stanchi, hanno dormito tutti insieme in
palestra per l'ultima notte e c'è chi già si rattrista. In due
giorni molto intensi, diretti da Gabriele Marchioni ed Enrico
Montalbani del Teatro Testoni, Andrea Campiglio Rodegher del Teatro
Prova di Bergamo e Jorge Martinez Moreno dell'Università Autonoma di
Barcellona, i giovani si sono confrontati con il tema molto complesso
della violenza. Il Cantamaggio, che fin dalla sua nascita (1998) si è
sempre occupato di tematiche sociali, quest'anno si lascia
coinvolgere dalla storia di Carmela, una tredicenne che, in seguito
a una violenza, decide di togliersi la vita perché la sue richieste
di aiuto restano inascoltate.
Il Cantamaggio nasce dall'esigenza
dell'incontro e della condivisione di un'esperienza che si apra al
confronto, rifuggendo da ogni tipo di competitività. Cento giovani,
attraverso la modalità del laboratorio, imparano ad ascoltare
l'altro e a entrare in sintonia con se stessi, e mostrare poi i
risultati ottenuti con un esito spettacolare, Canto Infranto.
Il tema dell’ascolto è stato una costante del laboratorio,
sottolineato soprattutto dalle parole di Bruno Cappagli, uno degli
ideatori del Cantamaggio: i ragazzi sono stati incitati a percepire
profondamente il senso delle parole pronunciate, a prendere coscienza
del tema della violenza, un problema così quotidiano che ormai ci
lascia indifferenti, come di fronte a una condizione normale e
irreversibile. La violenza, sia fisica che psicologica, viene così
analizzata ad ampio spettro: riguarda tutti, donne, uomini e bambini.
A poco a poco la palestra si svuota,
tutti i materassini, giacigli provvisori dei tanti giovani accorsi al
Cantamaggio, vengono riposti e si parte alla volta di Medicina, dove
ad attenderci ci sono il resto dei partecipanti. Vengono da diverse
parti d'Italia, ma non solo: molti di loro infatti sono spagnoli. Il
loro palcoscenico è un prato verde; una dolce collinetta che lo
sovrasta, creando una sorta di anfiteatro naturale, è la platea di
noi spettatori. Oggi i ragazzi mostreranno il proprio lavoro e c'è
ancora tanto da fare. Il sole scotta, sono stanchi e accaldati, ma
hanno una grande voglia di sperimentare e di mettersi in gioco. Bruno
Cappagli ha il compito di combinare le diverse parti di questo grande
coro di giovani di tutte le età e lo fa con pazienza e dedizione.
Dopo aver assistito al montaggio e alla prova generale, ecco
finalmente lo spettacolo.
L’inizio accende fin da subito la
curiosità del pubblico: all'improvviso un nutrito gruppo di ragazzi
corre verso il centro cantando e tenendo stretto tra le mani chi un
palloncino azzurro, chi uno rosa. ''È nato, è nata!″, gridano. Un
simbolico parto annuncia la nascita di un maschietto e di una
femminuccia, che, attraverso le parole degli adulti che ne commentano
l'aspetto e ne decidono già il futuro, si ritrovano ben presto
ingabbiati negli stereotipi di genere. Si pone il problema
dell'identità: chi sono io se esco fuori da uno schema preesistente
che mi caratterizza quale maschio e quale femmina? Chi sono io se
decido di non conformarmi a una serie di ruoli già predestinati?
Nello spettacolo viene utilizzato l'espediente del filo rosso: ogni
ragazzo ne ha uno tra le mani, e lo utilizza per disegnare sul prato
un quadrato dentro il quale posizionarsi. Esso rappresenta l'identità
di ognuno di noi, che si frantuma nella necessità di dover
rispondere a queste domande. È il filo rosso del nostro essere che,
se da una parte mette in contatto il nostro mondo con quello
dell'altro, dall'altra delimita un confine tra il nostro spazio e
quello degli altri, uno spazio sacro che non va violato e che non
abbiamo il diritto di violare. Il coro di giovani è ora
letteralmente imbrigliato in una ragnatela che li avviluppa, quella
dei luoghi comuni, nella quale si rischia di restare soffocati.
Il mondo femminile e quello
maschile, dei quali si dovrebbero ascoltare e accogliere le naturali
differenze, diventano campo di battaglia in cui combattere in nome
dell'incomprensione.
Lo spettacolo si chiude con una
lunga fila di scarpe rosse: si tratta di un omaggio all'istallazione
Zapatos Rojos, realizzata nel 2009 dall'artista
messicana Elina Chauvet. Scarpe rosse come il sangue, come la
violenza, come labbra che si serrano di fronte alla possibilità di
parlare, di denunciare. Delle donne restano solo le scarpe. I ragazzi
si avvicinano al pubblico e lentamente consegnano a qualche
spettatore l'estremità di un lungo nastro bianco. Ora gli attori e
il pubblico si trovano insieme a osservare un mucchio di scarpe
rosse, vuote. E pronti a scegliere.
Anche quest’anno il Cantamaggio
diventa luogo di riflessione, in cui ragazzi di diverse età e
diverse culture, attraverso il confronto con gli altri e grazie allo
strumento del teatro, possono prendere una posizione chiara nei
confronti della realtà che ci circonda e che oggi, più che mai, ha
bisogno di ripartire dai giovani per recuperare un senso.
Visto il 1° maggio a Medicina.
Nella Califano
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