tag:blogger.com,1999:blog-79615989747989783672024-03-14T15:07:04.109+01:00Voci dalla SoffittaBLOG DI CRITICA TEATRALE
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.comBlogger282125tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-20145963256060309642017-01-13T14:19:00.001+01:002017-01-13T14:23:50.533+01:00<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;">Carissimi lettori, </span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;">vi comunichiamo che il blog Voci dalla Soffitta ha subito delle grandi modifiche!!</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: center;">
<b><span style="font-size: x-large;">Abbiamo rinnovato completamente la redazione e soprattutto il sito.</span></b></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;">Continuate a seguirci su <a href="http://www.vocidallasoffitta.it/">www.vocidallasoffitta.it</a></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
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<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLkV6129IiZ9p_ed58kYhLGxTvpGL2ipVc7NajCfm8ZtIBkQQTzf7a_jYPAb85Ke3fcKcOGzZ2VFj6v1eIge6FUIQtQG15dfBC4fJehhIGAN1Pd_7QP04u47RHFCsr0eMxuQPU0xfoCcg/s1600/Logo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLkV6129IiZ9p_ed58kYhLGxTvpGL2ipVc7NajCfm8ZtIBkQQTzf7a_jYPAb85Ke3fcKcOGzZ2VFj6v1eIge6FUIQtQG15dfBC4fJehhIGAN1Pd_7QP04u47RHFCsr0eMxuQPU0xfoCcg/s640/Logo.jpg" width="640" /></a></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-68960941458194224472015-02-01T19:05:00.000+01:002015-02-01T19:05:04.307+01:00Le abilità del Disabled Theatre: non chiamatelo spettacolo sulle differenze
Undici sedie rosse accolgono, in un leggero semicerchio,
l'occhio dello spettatore. Si resta trafitti da una lieve quanto lucida
semplicità del palco, che schiude nelle undici bottigliette d'acqua poste
accanto ad ogni sedia, l'accenno di un'attesa che già dice, sottovoce,
qualcosa. Allora si tende l'orecchio e quel numero dispari, dato dall'unione di
due numeri uguali, si trasforma: diventa la premessa, la chiave d'accesso a <em><strong>Disabled
Theatre</strong></em>, spettacolo nato dall'incontro tra il pluripremiato coreografo francese
<strong>Jérôme Bel</strong> con il <strong>Theatre Hora</strong> di Zurigo, compagnia composta da attori
professionisti diversamente abili, che, dopo aver partecipato ai più
prestigiosi festival e mostre internazionali, ha fatto tappa all'<strong>Arena del Sole</strong>
di <strong>Bologna</strong>. Un numero, undici, che nella sua composizione anticipa quel che <em>Disabled
Theatre</em> non è: uno spettacolo sulle differenze. <br />
<o:p></o:p><br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhO-Ev1cqXNMYZBe32UiYSAy8crA95E-XKW9pi8ULQxQ84va7Wt7H-5K9Laq26kwgPMqrUFkHZGc8EM3KlRsLjKQhnaHR3gYz5r88MKQVBYbzr5xfl2rXjI0eEE5ulDo-ipxvSWpvyNdGg/s1600/disabled+3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhO-Ev1cqXNMYZBe32UiYSAy8crA95E-XKW9pi8ULQxQ84va7Wt7H-5K9Laq26kwgPMqrUFkHZGc8EM3KlRsLjKQhnaHR3gYz5r88MKQVBYbzr5xfl2rXjI0eEE5ulDo-ipxvSWpvyNdGg/s1600/disabled+3.jpg" height="299" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
Appare fin dall'inizio, sul palco al lato della scena, la
narratrice dello spettacolo che, destreggiandosi tra l'inglese e il
tedesco-svizzero, ne delinea ogni fase. La pièce si struttura di fatto in una
sequenza di domande, poste dal regista durante i mesi di lavoro con il Theatre
Hora, a cui gli attori vengono chiamati di volta in volta a rispondere.<br />
Come accade tra sconosciuti, per prima cosa, ci si guarda:
lo spettacolo si apre con un lungo minuto di silenzio, in cui ogni attore spunta
da dietro le quinte, appare sul palco, si ferma di fronte al pubblico e affoga
lo sguardo tra le poltroncine della platea. Ci parla, tacitamente.<o:p></o:p><br />
Segue il momento delle presentazioni: ogni attore riferisce
il proprio nome, l'età e la professione. Ciascuno poi prende posto tra le sedie
rosse. Gli attori vengono invitati a precisare la loro disabilità: c'è chi
confida la sindrome di down, chi un ritardo mentale, chi risponde
provocatoriamente con un “non lo so”. Quando ciascuno deve esprime il proprio
pensiero rispetto alla propria disabilità, qualcuno ci scherza, qualcuno
racconta le difficoltà provocate dalla lentezza, qualcun altro si sente
dispiaciuto. Jérôme Bel non si ferma qui. Chiede a ogni attore di scegliere un
brano musicale e di dare vita ad una coreografia: di danzare insomma, ognuno a
modo suo. Il palco, travolto dalle coreografie, diviene un luogo altro: la
musica, i movimenti, i gesti dei componenti del Theatre Hora scatenano danze a
cui il pubblico assiste estasiato, quasi inebriato.<br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHs60xZdYD5jxajQPzVUNfS3Fk5QV3RFBJbfco5YaI99zZU7N0BZDprM6VWRMNu2N215vxBGUWf0bNTLEMVubUDQHn6UttCnrWdIjpuOK3ukdS34Bxk2jmA5ffwrxRvPZBddgH-lX31Lo/s1600/disabled+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHs60xZdYD5jxajQPzVUNfS3Fk5QV3RFBJbfco5YaI99zZU7N0BZDprM6VWRMNu2N215vxBGUWf0bNTLEMVubUDQHn6UttCnrWdIjpuOK3ukdS34Bxk2jmA5ffwrxRvPZBddgH-lX31Lo/s1600/disabled+1.jpg" height="266" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<o:p></o:p> </div>
Gli attori, dopo aver messo a nudo un talento vertiginoso,
danno il loro giudizio sulla coreografia: chi si dice contento, chi meno perché
i familiari hanno trovato le coreografie “uno spettacolo da baraccone”. Uno
degli attori si lamenta perché la sua coreografia non è stata selezionata dal
regista per essere presentata di fronte al pubblico. E confida: “Io voglio
divertire il pubblico, voglio farlo ridere e ballare perché sono il ballerino
più bravo”. Un altro invece si domanda perplesso: “Dove sta il teatro dietro a
tutte queste domande?”. E allora anche chi non aveva ballato fino a quel momento
esegue il suo numero, quasi consumandosi e divorando le particelle di un palco
che scompare in vortici d'aria danzante. Come passo finale di questo lungo
viaggio del Theatre Hora, Jérôme Bel chiede un inchino. L'ultimo gesto che
raccoglie i battiti di una danza oltre confine.<o:p></o:p><br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Si potrebbero dire molte cose su <em>Disabled Theatre</em>: che si tratta
di uno spettacolo che sottolinea più la tematica della possibilità, piuttosto
che rendere semplicemente conto di una diversità; che attori professionisti
diversamente abili si svelano con talenti che trasformano mancanze in
intervalli di poetica bellezza; che il palco diventa il non-luogo in cui quarta
parete e barriere sociali standardizzate vengono meno.<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglT81U38ZEi3U3_ufWDwuE-iRcl7jqsYT90bsp07zhSKWHlSsyHmo4AFVkkpvtLyL9mwX4xO9wGtr4F0cCH4_T0W2so8WATLEPc4lNAVEUnK9OEdQgVF7HTfKj3UBngqvzGhzFQbyzSGI/s1600/disabled+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglT81U38ZEi3U3_ufWDwuE-iRcl7jqsYT90bsp07zhSKWHlSsyHmo4AFVkkpvtLyL9mwX4xO9wGtr4F0cCH4_T0W2so8WATLEPc4lNAVEUnK9OEdQgVF7HTfKj3UBngqvzGhzFQbyzSGI/s1600/disabled+2.jpg" height="266" width="400" /></a></div>
<br />
Si deve dire però (non in quanto obbligo ma piuttosto
sospinti da una certa impellenza) che l'elemento più pungente nella cornice
scenica di <em>Disabled Theatre</em> è il suggerire, proprio nell'assenza di battute da
copione, la rilevanza dell'interrogativo: “Dove sta il teatro dietro a tutte
queste domande?”. <o:p></o:p><br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
La scena, intesa nel suo termine più ampio, si trasforma qui
in un deflagrante strumento per scardinare i piani, per scindere gli incastri
sociali in cui spesso si resta incasellati come pedine. Molto probabilmente se
venisse meno questa forza propulsiva dell'arte, non si conoscerebbe la
possibilità di respirare un intimo senso altro, ovvero il semplice sentirsi in
quanto spettatore di spaziare un altro “mondo”, in cui prospettive, longitudini
e distanze assumono angolature differenti. Per quanto sfuocate, chiarificano
con intima vicinanza le posizioni del non-considerato, del non-visto o mai
sentito.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgH4hMA6GfgQQl36TjGtrCnf-0_y44CfpPVablGA8q-H3-OngcZp8SoJC7XO8qaFX55gWB2i-Es23XT2xAErTXVNTHXlDox58uO7xnOmmg04uf8lcRsM30eak23H9tY76jtVKv7HoHir7Q/s1600/disabled+4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgH4hMA6GfgQQl36TjGtrCnf-0_y44CfpPVablGA8q-H3-OngcZp8SoJC7XO8qaFX55gWB2i-Es23XT2xAErTXVNTHXlDox58uO7xnOmmg04uf8lcRsM30eak23H9tY76jtVKv7HoHir7Q/s1600/disabled+4.jpg" height="299" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<o:p></o:p> </div>
Uno dei rischi per uno spettacolo come <em>Disabled Theatre</em> sta
però nel restare inghiottiti nella banalizzazione di diversità versus
normalità, di abilità versus disabilità, della creazione di uno stupore
euforico perché mossi dall'assenza di quel che ci si aspettava: la mancanza.
Essa appare, vede gli attori mascherati da una schiettezza trasparente, non
mediata. Ma non resta, non colpisce, non comunica. La mancanza evapora. Lo
spettacolo di fatto la interroga, la problematizza come se fosse piantata nella
radice sbagliata che tenta, per fragili tentativi, di ribellarsi. <o:p></o:p><br />
Ritornano allora, come una lenta eco che nessuno sa dove
rimbalzerà,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alcuni versi di Fabrizio De
Andrè “Questa gente di cui mi vai parlando è gente come tutti noi, non mi
sembra che siano mostri, non mi sembra che siano eroi...”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p><br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
Visto il 27 gennaio 2015 all'<strong>Arena</strong> <strong>del Sole</strong>, Bologna.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: right;">
<strong>Carmen Pedullà<o:p></o:p></strong></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-53950409897749314122014-12-13T08:04:00.000+01:002014-12-13T08:04:12.982+01:00 Le Sacre du Printemps (La sagra della Primavera) secondo Castellucci<div class="MsoNormal">
Da qualche tempo a questa parte, forse dalla <i>Tragedia
Endogonidia</i>, di cui si potrà riprendere il concetto base di elaborazione, si
può affermare che la creazione artistica di <b>Romeo Castellucci</b> e della <b>Socìetas
Raffaello Sanzio</b> proceda per endogenesi. Come viene spiegato nel foglio di
sala, soprattutto <i>Go down, Moses </i>– la creazione di Castellucci nel quadro del
Festival d’Automne che ha dedicato uno spazio d’onore all’artista italiano –
sembra approfondire tematiche e immagini che il regista si porta appresso fin
dal <i>Velo nero del pastore</i>.</div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Allo stesso modo <i>Le sacre du Printemps</i> facente
parte della rassegna dà l’impressione di elaborare all’interno della sua stessa
struttura questo concetto di endogenesi. A voler paragonare lo spettacolo a una
visione filosofica – e chiunque segua anche superficialmente il percorso
artistico e concettuale di Castellucci non potrà non essere stupito dalla vasta
costellazione del corpus filofosico e teologico citata negli approfondimenti
teorici dell’artista – esso potrebbe richiamare la struttura rigida tripartitica
della dialettica hegeliana, ovvero Tesi, Antitesi e Sintesi. Del resto, forse è
proprio questo eccessivo schematismo a fare di questa creazione una proposta
interessante, ma minore nel percorso artistico castellucciano.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"> Prima
parte, dunque, o la Tesi: lo spettacolo si apre con l’ascolto nel buio della
registrazione del famoso pezzo di Stravinskij che dà il titolo alla creazione,
dopodiché la scena si rivela in tutta la sua nudità. L’assenza di performer o
semplici esseri umani in tutta questa prima e lunga parte è emblematica. Il pubblico
ha modo di osservare un complesso dispositivo di macchine che dall’alto
scaricano polvere su tutto lo spazio scenico. La Tesi può dunque essere
apprezzata quasi come un’opera astratta: lo spettatore si ritrova a contemplare
e ammirare i movimenti delle macchine, la polvere che cade al ritmo della musica
stravinskiana e le luci che sottolineano adeguatamente lo spostamento del
dispositivo. In questa prima parte Castellucci sembra voler seguire le orme
degli esperimenti avanguardisti più radicali, in cui l’elemento umano nel
teatro viene abolito, in favore di una pura e ben temperata sinestesia di
musiche e luci, grazie alla costruzione tecnologica, di Christian Schubert e
L58, che diventa protagonista.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuph1IW2tA8sxvrOgmNB7wam9YqiGZsC8mSPcEGFjr183AdJA-3eXeXCnCssS5zeK1XVI7CNznU-7OybFuiRfdpv6p5dsxuCi6Y8a8YSqnAEVRDjYAeDDc_gFtVVF06ky6HZRjIY1r1Jw/s1600/ccc.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuph1IW2tA8sxvrOgmNB7wam9YqiGZsC8mSPcEGFjr183AdJA-3eXeXCnCssS5zeK1XVI7CNznU-7OybFuiRfdpv6p5dsxuCi6Y8a8YSqnAEVRDjYAeDDc_gFtVVF06ky6HZRjIY1r1Jw/s1600/ccc.jpg" height="342" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Caduta delle polveri durante l'inizio dello spettacolo</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"> Seconda
parte o Antitesi: dopo aver dato modo allo spettatore di entrare in questo
diverso modo di contemplazione, mentre Le Sacre sta per finire, un velo di
tulle (alla maniera dei simbolisti) copre la scena. Possiamo intravedere dietro
delle figure umane, con tute e maschere antigas, che riordinano la scena,
togliendo la polvere e sistemandola in grandi contenitori. Sul velo di tulle
delle scritte bianche spiegano in modo dettagliato e scientifico la
composizione della polvere, ovvero residui di ossa animali, il loro
funzionamento nell’agricoltura, e quanta polvere è stata usata per lo
spettacolo, e a quanti animali equivale (75 bovini). Qualcuno nel pubblico successivamente
interpreterà questo testo come una provocazione, altri come un messaggio
vigoroso e polemico ambientalista. Personalmente, sulla base della mia
sensibilità e (poca) conoscenza del lavoro di Castellucci, propendo innanzitutto
a pensare che il messaggio sia volutamente ambiguo e che le varie possibilità
d’interpretazione lasciate allo spettatore possano essere tutte egualmente
giuste e sbagliate. Forse quello che il testo e lo spettacolo più in generale
vogliono suggerire è che il sacrificio evocato nell’opera di Stravinskij nel
nostro mondo contemporaneo non può più essere inteso nella sua eccezionale
ritualità, bensì come una semplice e brutale pratica burocratica che nel
sistema industriale attuale non può non essere espletata quotidianamente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"> Sintesi
o coda dello spettacolo: la musica finisce, lasciando spazio a una composizione
di <b>Scott Gibbons</b>. Il velo si apre, riusciamo a distinguere meglio gli uomini al
lavoro. La scena ricorda così un vero e proprio macello – e del resto il
<b>Théâtre de la Villette </b>si erge sulle rovine degli antichi macelli di Parigi – o
evoca in modo più sinistro anche i campi di sterminio nazisti. Le due parti
precedenti trovano dunque la sintesi in quest’ultima immagine del riordino del
palco in cui la figura umana è ridotta a un mero servo di scena. Il pubblico
può a questo punto decidere quando ritirarsi, perché lo spettacolo è già
finito, lasciando volutamente domande in sospeso, tra le ceneri di uno
spettacolo che si conclude senza concludere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Visto alla <b>Grande Halle de La Villette</b> il 10
dicembre 2014<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<span lang="FR"><b>Fabio Raffo</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-63333866258431578712014-12-02T06:27:00.000+01:002014-12-02T06:27:25.132+01:00Natura Dèi Teatri arriva alla diciannovesima edizione: per l’occasione, chiama a riflettere dieci produzioni internazionali sul linguaggio e sui suoi molteplici piani<div class="MsoNormal">
Arrivato alla sua diciannovesima edizione, il festival
parmense <b>Natura Dèi Teatri</b>, in programma dal <b>5 al 14 dicembre 2014</b> propone un
calendario multiforme, animato da creazioni contemporanee di teatro, musica,
danza, video e performance: in arrivo prime assolute e rarità internazionali
con Scanner, Lenz Rifrazioni, Maguy Marin, Pieter Ampe, Paul Wirkus, Alessandro
Berti, Via Negativa, Tim Spooner, Enrico Pitozzi e Andrea Azzali. Negli spazi
post-industriali di Lenz Teatro a Parma, con due sconfinamenti performativi in
un’importante chiesa storica nel centro della città, il festival propone dieci
creazioni internazionali ispirate a <b><i>I due piani</i></b>, tema concettuale che, dopo <i>Ovulo</i>
nel 2012 e <i>Glorioso</i> l’anno seguente, conclude il progetto triennale alimentato
dalle suggestioni filosofiche di Gilles Deleuze «dieci declinazioni
scenico-performative dell’identità duplice, stratificata, multipla del
linguaggio», come spiegano i due direttori artistici Maria Federica Maestri e
Francesco Pititto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoEjxlnEshKzAN8lAb451EvsBNdY1jzjwMhwjSG-Df_7EgzVDC3k-AWwgYXz5k3KiFkAjlBKppsIo3qq6eDm4xWBtTlmMmyAXIaUCUE1cwH2t-JcsnYnDGOmIPYzgSvlN3YYuikiBXxX4/s1600/naturadeiteatri.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoEjxlnEshKzAN8lAb451EvsBNdY1jzjwMhwjSG-Df_7EgzVDC3k-AWwgYXz5k3KiFkAjlBKppsIo3qq6eDm4xWBtTlmMmyAXIaUCUE1cwH2t-JcsnYnDGOmIPYzgSvlN3YYuikiBXxX4/s1600/naturadeiteatri.jpg" height="612" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
S’inizia con la prima presentazione assoluta di <b><i>Verdi Re
Lear - L’Opera che non c’è_Premessa dal Re Lear di Giuseppe Verdi</i></b>, di cui
esiste solo il libretto scritto da Somma con le correzioni dello stesso Verdi.
Il progetto muove dall’indagine e dalla ricostruzione del desiderio verdiano,
frammentato e incompiuto, per procedere a un’invenzione - ovvero a un “trovare
investigando” - di un simulacro d’opera d’arte performativa e musicale che
tragga dal Lear di Shakespeare e dal Lear di Verdi gli elementi fondamentali.
Il progetto di Lenz Rifrazioni combina due presenze all’apparenza decisamente
dissimili: il compositore elettronico inglese<b> Robin Rimbaud aka Scanner</b> e il <b>Conservatorio
Arrigo Boito</b> di Parma. È un audace accostamento voluto da Maria Federica
Maestri e Francesco Pititto «per sperimentare nuove forme d’intreccio creativo tra
elementi che, nel caso unico della realizzazione di un’opera che non esiste,
possono contribuire a dare forma e corpo a un progetto incompiuto ma potente».<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Lenz Rifrazioni presenta inoltre, in prima nazionale, lo
spettacolo <b><i>Adelchi</i></b>: il progetto biennale dedicato all’opera di Alessandro Manzoni
prosegue con «una riflessione profonda sulla potenza poetica della tragedia»
che vede in scena tre attori “sensibili” formati nel laboratorio permanente
realizzato da Lenz Rifrazioni in collaborazione con l’Ausl di Parma –
Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale: «In questo progetto
scenico» spiegano i due direttori artistici «si sostanzia la ricerca
pluriennale di un “verbo” pedagogico che renda le persone affette da disturbi
dello spettro autistico in grado di esprimere le emozioni silenziate attraverso
le stimolazioni drammaturgico-sensoriali dell’esperienza teatrale. Si ribalta
la prospettiva dalla quale guardare alla sensibilità: gli apparenti limiti non
sono più sintomi di un deficit patologico, ma divengono elementi da elaborare e
tradurre in linguaggio estetico contemporaneo, attraverso il confronto e
l’agone - anche fisico e vocale - con i classici».<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
La danza ha un ruolo importante: tra gli spettacoli in
programma <b>Maguy Marin</b>, la più importante esponente della nouvelle danse francese,
presenta a Natura Dèi Teatri il suo nuovo spettacolo <b><i>Singspiele</i></b>, creato in
collaborazione con David Mambouch e Benjamin Lebreton. «<i>Singspiele</i>» racconta la
coreografa «è un lavoro di ascolto dedicato ai volti: a ciò che questi volti ci
dicono, precisamente o confusamente, dei loro corpi assenti: la storia
particolare che portano con sé e che ci sfuggirà sempre». Inoltre, torna al
Festival <b>Pieter Ampe</b>, con il suo primo solo, <i><b>So you can feel</b></i>, in prima
nazionale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Le prismatiche stratificazioni evocate dal nucleo
concettuale <i>I due piani</i> si incarnano anche in <i><b>Maestro Eckhart</b></i> di <b>Alessandro
Berti</b>, regista, attore e drammaturgo dal percorso eccentrico, da qualche anno approdato
all’ascolto rigoroso, attraverso lo strumento-teatro, di voci della
spiritualità cristiana.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Non mancano le interessanti collaborazioni: <i><b>Hyperion |
Diotima</b></i> è l’ennesimo frutto inedito nato dalla cooperazione tra Lenz Rifrazioni
e il musicista elettronico polacco <b>Paul Wirkus</b>; una creazione ispirata all’<i><b>Hyperion</b></i>
di <b>Friedrich Hölderlin</b>, figura importante nel percorso artistico di Lenz
Rifrazioni e il cui interesse oggi è rinnovato da questa perfomance ispirata a
Diotima, figura tra le più complesse della mitografia hölderliniana. Inoltre, La
slovena «piattaforma di ricerca, sviluppo e produzione di arti performative
contemporanee» <b>Via Negativa</b>, inquieta formazione ospite di numerose edizioni di
Natura Dèi Teatri, propone <i><b>On the right track</b></i>, un surreale e sorprendente «cabaret
dell’assurdità politica».<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
E ancora, ibrida performance e arti visive <i><b>The Telescope</b></i>
dell’inglese <b>Tim Spooner</b>, mentre fa interagire misure del materico e del
trascendente il concerto <i><b>Corpo sacro</b></i> di <b>Andrea Azzali_Monophon</b>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Lo studioso <b>Enrico Pitozzi</b>, infine, propone il seminario <i><b>Magnitudini</b></i>:
una radiografia della materia sonora e un dialogo sul complesso percorso di
Lenz Rifrazioni attorno a Re Lear.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Info Festival Natura Dèi Teatri<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Lenz Teatro – Via Pasubio 3/e Parma<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
+ 39. 0521. 270141<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
info@lenzrifrazioni.it<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
www.lenzrifrazioni.it/natura<o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-80970716318196263432014-11-06T11:11:00.000+01:002014-11-06T11:11:51.983+01:00Al via la rassegna Margini: storie e spettacoli che raccontano di culture ai limiti, impegnate nella lotta al limite<div class="MsoNormal">
Ad aprire l’ultima stagione teatrale del <b>TeTe – Teatro
Tempio</b> di Modena, dal 7 al 16 novembre sarà la rassegna <i>Margini</i>, a cura di
<b>Roberta Spaventa</b>, regista e direttrice artistica di <b>Peso Specifico Teatro</b>. La
rassegna presenterà spettacoli teatrali, performance artistiche e musicali,
nonché un seminario intensivo di scrittura teatrale a cura di <b>Stefano Massini</b>
(premio Ubu per la drammaturgia 2013).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Come sempre, le proposte della compagnia Peso Specifico
Teatro richiamano precise riflessioni su tematiche ben definite: Margini,
infatti, nasce da “una scelta che vuole approfondire temi quali
l'emarginazione, la migrazione e la necessità di una reale libertà di azione,
soffocata dalle tante manipolazioni di potere presenti drammaticamente nel
nostro Paese”, come afferma la curatrice Roberta Spaventa.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4TC78YEdyxb_HEEjwXu0Q-cKAyWoqlzjlGEPPeoZvfCSvDJ3pfaJicT4sU2ezc0aEiY5fT7yRX3WnCdMGcCSh86vGUgbVLffk1Kd3h40HNqznUtqtCcqTzK9uq699K6Ee5KkjNV8WN-s/s1600/10624982_777009555700211_8370082922527024375_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4TC78YEdyxb_HEEjwXu0Q-cKAyWoqlzjlGEPPeoZvfCSvDJ3pfaJicT4sU2ezc0aEiY5fT7yRX3WnCdMGcCSh86vGUgbVLffk1Kd3h40HNqznUtqtCcqTzK9uq699K6Ee5KkjNV8WN-s/s1600/10624982_777009555700211_8370082922527024375_n.jpg" height="344" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Dieci appuntamenti, di cui il primo, il 7 novembre alle ore
21 è <i>Eco delle terre</i>, uno studio sui sentieri gitani nello stile dei
cantastorie a cui seguirà, alle 21.30, <i>La semplicità ingannata</i> di <b>Marta Cuscunà</b>
(Premio Scenario Ustica 2009), progetto teatrale che racconta da quali semi è
nata la rivendicazione delle donne contro lo strapotere maschile nel ‘500
tramite la storia della Resistenza delle Clarisse di Udine, unendo la loro
storia a una libera lettura delle opere di Arcangela Tarabotti. La seconda
giornata, 8 novembre, prosegue alle 21 con <i>Racconti dal diluvio (here comes the
flood)</i> di <b>Amorevole Compagnia Pneumatica</b>, uno spettacolo basato su frammenti
autobiografici, nudi spaccati di bios trasformati in narrazione poetica, e che
vede mescolarsi sulla scena attori professionisti e ospiti del Centro Beltrame,
il principale dormitorio pubblico di Bologna. L’8 e il 9 novembre si svolgerà
il seminario intensivo di scrittura teatrale, condotto da Stefano Massini partendo
da <i>L’interpretazione dei sogni di Freud</i>: un viaggio nella drammaturgia dell’onirico,
che sfrutta le strutture narrative del sogno e le sue filiazioni surreali, in
un continuo gioco di rimandi fra dialogo reale e astrazione iconoclasta: il
sogno, in fondo, è partenza e arrivo di tutto quello che attiene alla
creatività umana, e dunque al teatro. A chiusura della rassegna, il 13 novembre
sempre alle ore 21 Peso Specifico Teatro presenta il primo studio su testo <i>Il
meritato riposo</i> (finalista al premio drammaturgico Avamposti d’autore 2014) di
Roberta Spaventa, con <b>Lisa Severo</b>. La storia raccontata è quella di Ipazia, una
donna moderna con un nome antico, che vive in un mondo moderno con una
concezione ancora antica. Il tema di riferimento è la maternità, un tema che
Ipazia vorrebbe affrontare partendo da sé, ma le persone del suo mondo non
glielo permettono, perché troppo prese a dare consigli, giudizi, riflessioni
personali e sociali sulla figura della giusta e vera madre.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Una rassegna di ampio respiro che apre le porte a
rappresentazioni teatrali, performance, musica e cultura. Una cultura dei Margini
che non vogliono stare ai margini.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b>MARGINI</b> </div>
<div class="MsoNormal">
Direzione artistica - Roberta Spaventa;</div>
<div class="MsoNormal">
Direzione
tecnica - Santo Marino; </div>
<div class="MsoNormal">
Comunicazione - Francesca Iacovello; </div>
<div class="MsoNormal">
Ufficio Stampa -
Alessandra Zannato</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<u>Per info e prenotazioni</u> </div>
<div class="MsoNormal">
<b>Te.Te - Teatro Tempio</b>, Viale Caduti
in Guerra 192, Modena tel.059/8752068 - 380/3696993</div>
<div class="MsoNormal">
info@teatrotempio.it </div>
<div class="MsoNormal">
<a href="http://www.teatrotempio.it/">www.teatrotempio.it</a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Elvira Scorza</b></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-65765721065104601242014-11-04T15:35:00.000+01:002014-11-04T15:36:02.480+01:00Le impressioni di un danzatore nel Guillaume Tell di Graham Vick<div class="MsoNormal">
Nell’aprile dello scorso anno ho partecipato all’audizione
per il ruolo di tersicoreo dell’opera di <b>Gioachino Rossini</b> <i>Guillaume Tell</i>, la
cui regia era affidata al noto <b>Graham Vick</b>. La sezione maschile dei danzatori
era affollatissima e la speranza di raggiungere l’ultimo <i>step</i> del tutto vana.
Eppure, quando il palcoscenico del <b>Teatro Rossini</b> di Pesaro ha fatto posto ai
nove prescelti, stentavo a credere a quel «sarà un vero piacere lavorare con te».
Sembrava solo l’inizio di una nuova esperienza professionale, ma in realtà
stava per compiersi un viaggio nel più profondo del mio essere, un percorso
così introspettivo da fare invidia alla <i><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_Stanislavskij">perejivànie</a></i>, la reviviscenza stanislavskijana.<br />
Le tre settimane di prove avevano inizio agli albori della
stagione estiva, quando il picco della calura vinceva su resistenza fisica e
creatività, assolutamente necessarie per i workshop giornalieri che il
coreografo Ron Howell ci richiedeva di effettuare. Esigeva, infatti, che le
nostre performance, ballate o recitate che fossero, non apparissero artefatte o
meramente adattate alla musica di sottofondo, bensì del tutto naturali, quasi espulse
direttamente dall’anima senza alcun filtro. Sebbene, dunque, le indicazioni fossero
essenziali, le tematiche erano universali: oppressione e libertà, fatica e ozio,
perfidia e compassione. Lo sforzo previsto era immane, ma totalmente ripagato
dagli applausi del pubblico, scroscianti fino all’ultima recita di fine agosto.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Dopo un anno di pausa, il mio viaggio nella leggenda dell’eroe
svizzero ha raggiunto il <b>Teatro Comunale</b> di Bologna, dove l’ingerenza di nuovi
spazi e direttive sceniche è del tutto sfumata dinanzi alla vivida immutabilità
delle emozioni, vere protagoniste secondo il genio creativo del regista di
Birkenhead. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
In un balzo temporale di circa seicento anni, la storia del
popolo elvetico, prima oppresso poi rivalso, viene catapultata in una
mastodontica sala bianca, tanto splendente quanto soffocante, al cui interno una
macchina da presa primo novecentesca immortala tutto lo scorrere dell’azione
scenica. Il <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Balivo">balivo </a>Gessler signoreggia col suo seguito di scagnozzi e
aristocratici: è necessario, dunque, documentare quanto bella sia la Svizzera
grazie alla loro reggenza.<o:p></o:p><br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3n7GqDQCpKR-hEMuUBUjjK4QlGz0vr3yGRBcrY_91YH_duLV18oVPcGRbcdCUNFpxHL_DvjI04NlJZjoQFhBP9FsqxFTXIdH8X2kZhtYrq9J5fD41U-38OpEwNrS36TKTI33lKplVMEU/s1600/I+atto.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3n7GqDQCpKR-hEMuUBUjjK4QlGz0vr3yGRBcrY_91YH_duLV18oVPcGRbcdCUNFpxHL_DvjI04NlJZjoQFhBP9FsqxFTXIdH8X2kZhtYrq9J5fD41U-38OpEwNrS36TKTI33lKplVMEU/s1600/I+atto.jpg" height="372" width="640" /></a></div>
<br />
La prima scena funge da perfetta vetrina di questo doloroso
corso degli eventi: da un lato la nobiltà, in abiti ben mimetizzati col resto
dell’allestimento, si erge su quella che il regista definiva la <i>white box</i>, una
sorta di palco d’onore nel teatro della supremazia austriaca; dall’altro il
popolo, provvisto di misere vesti e cenci, striscia sul pavimento per lucidarlo
al meglio. Tutto è al suo posto e nulla può (almeno per ora) cambiarlo. Il soave
canto di Roudi il Pescatore riesce ad allietare gli animi spaventati, eccetto
quello di Guglielmo Tell che, sin da subito, manifesta apertamente il desiderio
di riscatto per i suoi compatrioti. Dall’alto della “scatola bianca” ha avuto luogo
la mia prima apparizione, pienamente calato nei panni dell’aristocratico altezzoso,
ma nello stesso tempo pronto a rivestire quelli da popolano per la scena
successiva.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Nel fulmineo cambio di costume mi sono apprestato a
condividere col pubblico nuove sensazioni, quelle di speranza per un futuro
migliore e di consapevolezza dell’arduo impegno per ottenerlo. È il momento più
toccante del primo atto: il matrimonio delle tre giovani coppie (interpretate
da sei miei colleghi), benedetto da Melcthal, il più anziano della comunità.
Lungo la balaustra di destra ho ammirato la cerimonia, così minimale come
pregna d’infinita dolcezza, fino a quando il suono dei corni degli uomini di
Gessler ha sconquassato l’atmosfera e allarmato tutti gli astanti. A quel punto
il mio unico assolo ha preso forma tra gli sguardi ipnotizzati degli spettatori
e le austere note del coro femminile: con l’invocazione d’<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Imene_%28mitologia%29">Hyménée</a> una breve
pantomima si è trasformata in un inno alla libertà, all’accettazione totale
della propria individualità e al rispetto della terra natia, che i soprusi
degli asburgici intendevano prepotentemente schiacciare. Coreograficamente la performance
imponeva di cadere gradualmente verso il suolo per la pressione di una scarpa
sulla testa: mai altra mimica sarebbe stata più azzeccata per rendere chiaro il
messaggio voluto!<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHtNAWM26dezuRX56fgNbYV16E_bljDWKKYQuhok9rLH9kEuRa4fnYpvMkP9zftku2Y0e58VWoxYXk4ZmYo6jUn5lOjHg8inWTmxJC0ZUL-lih7WQDF_KcM7ADOGetVx6CWMaW3-oP3CQ/s1600/III+atto.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHtNAWM26dezuRX56fgNbYV16E_bljDWKKYQuhok9rLH9kEuRa4fnYpvMkP9zftku2Y0e58VWoxYXk4ZmYo6jUn5lOjHg8inWTmxJC0ZUL-lih7WQDF_KcM7ADOGetVx6CWMaW3-oP3CQ/s1600/III+atto.jpg" height="436" width="640" /></a></div>
<br />
Non erano previsti altri ingressi in scena se non prima del
terzo atto, il più arduo a livello tecnico, il più logorante a livello umano.
Strizzato in uno smoking nero di alta classe, suggeritore di massima eleganza e
raffinatezza, ho dovuto radicalmente convertire la mia personalità per assumere
i panni di un perfido aristocratico dall’animo spietato e dalla completa
mancanza di rispetto per gli uomini (e soprattutto le donne) di diverso status
sociale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Il training psicologico è stato fortemente complesso, dato
che il regista e il coreografo concordavano appieno nell’idea di assoluta
immedesimazione nel personaggio: ricordo benissimo quante lacrime ho versato
quando insistentemente mi venne richiesto di trattare realmente una delle
danzatrici come una marionetta, con la quale trastullarmi senza inibizioni.
Tuttavia, questo macabro gioco è davvero valso la candela. Il realismo con cui,
in estrema concentrazione, sono riuscito a tenere salda l’interpretazione ha
stimolato gli applausi fragorosi, ma anche sincere grida di disapprovazione: in
entrambi i casi si è trattato di un successo, perché il vero monito di Graham
Vick era stato colto dai presenti in sala.<o:p></o:p><br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHOG2cj5eJuFM3WqWsIlxGoCBz1GY-Ur1XsexojFrYs9LUJv5H8j2pgdPHHY_T2vI8vTJkEyjjEidG3gcM5__G4ZhOlRJctQoiPTdQ_RqeFRzSWjIo0eTor9D92BGhwGpGCX7YtD0p-pw/s1600/Finale.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHOG2cj5eJuFM3WqWsIlxGoCBz1GY-Ur1XsexojFrYs9LUJv5H8j2pgdPHHY_T2vI8vTJkEyjjEidG3gcM5__G4ZhOlRJctQoiPTdQ_RqeFRzSWjIo0eTor9D92BGhwGpGCX7YtD0p-pw/s1600/Finale.jpg" height="398" width="640" /></a></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Animato dallo spirito combattivo, incitato dall’anatema di
Tell al suo acerrimo nemico e invocato in coro dal resto della popolazione
soggiogata, ho indossato ancora gli stracci consunti da svizzero - questa volta
però battagliero e sprezzante del pericolo. Insieme coi miei compagni
d’avventura, oltre il fondale di scena, ho assistito al finale dell’opera,
estasiandomi tanto quanto gli spettatori alla vista dell’enorme scala
triangolare, discesa dal tetto della scenografia. I gradini rossi, calpestati
timidamente da Jemmy (figlio di Guglielmo Tell), rappresentavano la via della
salvezza, della libertà, del coraggio: raggiungervi l’auge era la vera vittoria
del Bene sul Male. Le parole di giubilo dell’ultima melodia non hanno fatto
altro che porre la cornice perfetta al quadro, ritmando simultaneamente, ad
ogni colpo di grancassa, i pugni issati al vento a rompere le barriere della
malvagità.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Marco Argentina</b><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
In scena al <b>Teatro Comunale di Bologna</b><o:p></o:p></div>
8, 11, 14, 16 e 18 ottobre 2014<br />
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-45495876836755378552014-10-27T10:42:00.000+01:002014-10-27T10:48:23.891+01:00Punto e a capo: raccontare un anno di teatro per ricominciare<div class="MsoNormal">
Uno sguardo al passato per leggere il futuro. La stagione
teatrale 2014-15 è già stata inaugurata portando con sé nuove produzioni, primi
studi e spettacoli affermati. Mentre a Modena è finito il <a href="http://www.viefestivalmodena.com/">VIE festival</a> il 25
ottobre, alcune città della regione stanno ospitando gli spettacoli del nuovo
<a href="http://festivalfocusjelinek.it/">festival Focus Jelinek</a>, incentrato sul lavoro della scrittrice austriaca
<b>Elfriede Jelinek</b>, premio Nobel per la letteratura nel 2004.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Così vorremmo augurarvi un buon anno teatrale, portando alla
memoria gli spettacoli che in qualche modo hanno segnato l’anno appena passato.
Una stagione che ha offerto molti spunti di riflessione, si è contraddistinta per
varietà di generi. Dai discorsi sull’attualità del teatro civile di <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/11/discorsi-una-nazione-decaduta-sold-out.html"><b>AscanioCelestini</b></a>, al teatro di resistenza femminile di <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/03/dossier-liberata-tra-laboratorio-e-via.html">Liberata</a></i> del <b>Teatro dell’Argine</b>.
Dal teatro di narrazione di <b>Mario Perrotta</b> che racconta le tragiche
immigrazioni dei meridionali con <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/italiani-cincali-la-migrazione-in.html">Italiani Cìncali</a></i>, alla rivisitazione dei
classici della mitologia come <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/si-inabissa-la-tempesta-dei-motus-in.html">Nella Tempesta</a></i> dei <b>Motus</b>. Non mancano gli
intramontabili della scena come <b>Dario Fo</b> con il suo <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/dario-fo-giullare-di-dio.html">Lo Santo Jullare Françesco</a></i>
e il <b>Teatro della Albe </b>di Ravenna con lo <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/03/vittorie-indagini-e-soprusi-la-scalata.html">spettacolo-dossier su <i>Pantani</i></a>. Mentre
in Italia abbiamo seguito anche le <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/12/premi-ubu-per-il-teatro-2013-i-vincitori.html">premiazioni per l’Ubu 2013</a>, assegnato a <i>Il
panico</i> diretto da <b>Luca Ronconi</b>, i confini di Voci dalla Soffitta si sono estesi
ad <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013_07_01_archive.html">Avignone</a> e nell’area catalana per conoscere alcune giovani realtà locali
come <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/11/cronica-de-josee-agarrotado-menudo-hijo.html">Los Corderos</a> e la compagnia <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/12/lavori-in-corso-barcellona-la-compagnia.html">Barò d'Evel Cirk Cia</a>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivw3-Nnsb2yfMxeIaVYukTrFGmGEM11w2nHskIKvNgdBLb_Irw5rC35rs1aQkbWhZcY_BGD3OanfnRyDHElp6sOCZA20ENkyeGFGopnsB9jbn7zKaUt0nwcfvqrvfd1qFU5Y7CtzFCo4Q/s1600/4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivw3-Nnsb2yfMxeIaVYukTrFGmGEM11w2nHskIKvNgdBLb_Irw5rC35rs1aQkbWhZcY_BGD3OanfnRyDHElp6sOCZA20ENkyeGFGopnsB9jbn7zKaUt0nwcfvqrvfd1qFU5Y7CtzFCo4Q/s1600/4.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p> </o:p>Parole, parole, parole… quante parole si ritrovano a fare da
fil rouge nei racconti di questa stagione appena passata. Abbiamo recuperato
l’importanza della parola che crea relazione, che fonda l’azione, che riporta
il teatro al centro della comunità fino a trasformarsi in città (<i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/07/le-parole-e-la-citta-venti-anni-di.html">Le Parole e laCittà</a></i>). Ma abbiamo anche osservato la perdita di significato delle parole e il
loro trasformarsi in esercizi di articolazione per bocche meccanicamente
abituate a parlare: parole ormai prive di senso, dimentiche della loro potenza
di agire, di creare ponti significanti, di unire uomini, di fondare comunità (i
<a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/il-discorso-e-cio-che-ne-consegue-i.html">Discorsi dei <b>Fanny & Alexander</b></a>). Comunità, eccola un’altra parola che
ritorna, la comunità creata dal teatro ma anche la società come microcosmo
saturo d’ipocrisia, ignoranza e falso moralismo (<i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/10/davanti-allo-schermo-grigio-di-un.html">Le presidentesse</a></i>). C’è anche
la parola identità tra le fila di questa stagione teatrale appena conclusa:
l’identità comune e l’identità singola (<i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/03/barbablu-alla-ricerca-delle-origini-del.html">Barbablù</a></i>) la cultura come ascia pronta
a pesare sul capo del reietto di turno (<i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/01/bestie-rare-in-aspromonte.html">Bestie rare</a></i>) ma anche come spiaggia di
salvezza a cui ritornare – altra parola importante quest’anno – per ritrovarsi.
Ritrovare il senso della propria arte in paesi culturali altri, lontani ma
centrali per l’attore come atleta del cuore: cuore, cordis, ri – cordis,
riportare al cuore, scoprire le origini della propria arte per permettersi di
risuonare come persona, ma soprattutto per convogliare e condurre ancora più
lontano le proprie parole (<a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/10/il-moto-perpetuo-dellattore-trasparenze.html"><b>Barzaghi</b></a>). Ricordis: ricordare, quest’anno grazie
al teatro abbiamo ricordato l’importanza di ricordare (<a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/riportare-al-cuore-il-ricordo-e-il.html">La Turnàta – Italianicìncali parte seconda</a>) per immaginare il futuro. Parole, tante parole, tanti
giochi di parole ma anche immagini forti usate per raccontare di solitudini,
immagini che nascono dalle parole e diventano urli visivi di vissuti troppo
forti per affidarsi solo al verbo (<i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/11/un-dipinto-per-un-bacio-damore-perrotta.html">Un bès – Antonio Ligabue</a></i>). Un teatro in
navigazione nell’oceano di parole, naufrago nel silenzio e nel nonsenso quando
racconta la solitudine esistenziale della società, ma ricco di abbecedari
quando deve parlare all’utopistica comunità raccolta attorno al cerchio sacro
definito dalla parola “teatro”.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjId8n1r2qeycpcZ1X0Pl900L3OkygKG-Wvvwh8dbGLPl6_D1TZh2ue69Y4pO6Pmxz5v1k6HMdneDvNkGdhUvIvJ2iPF9_B1GGzeZVAi0_NL8wX-kee7bfuhQ8bWfrKsTswTt6CymFPZQk/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjId8n1r2qeycpcZ1X0Pl900L3OkygKG-Wvvwh8dbGLPl6_D1TZh2ue69Y4pO6Pmxz5v1k6HMdneDvNkGdhUvIvJ2iPF9_B1GGzeZVAi0_NL8wX-kee7bfuhQ8bWfrKsTswTt6CymFPZQk/s1600/2.jpg" height="568" width="640" /></a></div>
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<br /></div>
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<o:p></o:p></div>
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Per quel che riguarda la danza, nella stagione appena
decorsa è parso proprio che la musa Tersicore abbia saldato fermamente al
palcoscenico uno specchio, tutto rivolto verso gli spettatori. Vizi, caducità e
problemi – irrisolvibili o meno – della società odierna sono piombati, di
riflesso, nelle coscienze degli estimatori dell’arte della danza, grementi le
sale dei più diversi teatri bolognesi. Grazie al cielo il movimento coreutico,
la pantomima e l’eleganza di una tecnica accademica, le cui origini si perdono
nelle nebbie del tempo, deliziano sempre la visione di una tale gravezza
emotiva. Come una goccia di miele sulla punta dell’amara medicina.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Coreografie come <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/10/parkinson-danza-la-vita-di-un-padre-e.html">Parkin’son</a></i> e <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/double-points-verdi-dive-donne-ed.html">Double Points: Verdi</a></i> ne sono
state l’emblema: sul filo di una commovente biografia familiare corrono le
confessioni di un padre malato e suo figlio omosessuale così come quelle delle
tre “forever Divas”, la cui essenza di donna è stata soffocata dall’acme del
successo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Il gentil sesso, tuttavia, non ha mancato di riscattarsi,
sbandierando ai quattro venti la passione infiammata e spregiudicata, troppo
spesso inibita dal buon costume e dall’etica morale. Che si tratti di punta,
possibilmente gessata, o di tacco, battente per il flamenco, la verve dei passi
delle danzatrici ha fatto breccia nei cuori, generando una potente eco tanto
sonora quanto sentimentale. E allora i cartelloni hanno gridato i nomi della <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/11/la-carmen-di-franzutti-eros-e-thanatos.html">Carmen</a></i>
franzuttiana e di <b>Danila Scarlino</b>, interprete dell’assolo <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/03/danila-scarlino-la-bambina-diventa-donna.html">Donna</a>, ma anche dei <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2013/11/i-trocks-donne-per-la-danza-uomini-per.html">Trocks</a>,
la compagnia di repertorio classico-accademico tutta <i>en travesti</i>. Perché la
femminilità non è un’esclusiva delle donne!<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpt5Btbp_6ECjrS2M6qKQM1pSzYVdZMp0BGLaP_bD2de1nXAQ4iiWZ6CdP1PxzDeIvycmlwPx2utaJcPr3x8NpFccBv8_uPihJ9LG5QxbdcZQYyCoZnqlaLwhbHxBOH5UqwjRb2MQMtL4/s1600/5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpt5Btbp_6ECjrS2M6qKQM1pSzYVdZMp0BGLaP_bD2de1nXAQ4iiWZ6CdP1PxzDeIvycmlwPx2utaJcPr3x8NpFccBv8_uPihJ9LG5QxbdcZQYyCoZnqlaLwhbHxBOH5UqwjRb2MQMtL4/s1600/5.jpg" height="414" width="640" /></a></div>
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<br /></div>
<div class="MsoNormal">
La realtà quotidiana ha abbattuto, dunque, quel “muro di
Berlino” della scena coreica impregnata di pregiudizi e ampollosità,
percorrendo una strada che guarda alla tradizione del Passato per costruire le
innovazioni del Futuro. Il tragitto esplorabile è risultato più che
affascinante, accogliendo ogni spettatore in un fantomatico luna park
dell’Immaginazione. Dal folclore cretese di <i><a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/la-danza-di-zorba-fra-speranze-e.html">Zorba</a></i> si è giunti alle
sperimentazioni coreo-visuali dell’<a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/02/momix-lalchimia-dellumanita.html"><i>Alchemy</i> dei Momix</a>, passando per la stessa
Bologna che, <a href="http://vocidallasoffitta.blogspot.it/2014/03/futura-ballando-con-lucio-bologna.html">celebrando il compianto <b>Lucio Dalla</b></a>, ha regalato a quello specchio
di Tersicore una preziosa cornice, decorata di lirismo e confortante poeticità.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Giunti a questo punto, non siamo in grado di dire in che direzione vada il nuovo
teatro, né sappiamo dare un giudizio complessivo riguardo l’intera stagione. Per
ora ci reputiamo solo giovani osservatori di teatro, esploratori di stili e <b>Voci
dalla Soffitta </b>è la nostra palestra di idee che allena lo sguardo in una
direzione che non sia solo la superficie. <o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>La Redazione</b><o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-51222623924186710562014-10-20T19:17:00.000+02:002014-10-20T19:22:39.365+02:00You are my destiny: il destino fuori dalle righe di Angélica Liddell <div class="MsoNormal">
<i>You are my destiny (Lo stupro di Lucrezia)</i>, ultima creazione
dell'artista catalana Angélica Liddell, è un corpo multiforme e spigoloso,
pungente e provocatorio, che inizia ancor prima di raccontarsi. La regista
stessa, al limite del proscenio, introduce al pubblico la sua visione
crepuscolare: un'idea che porta in grembo fin dalla sua esperienza alla
Biennale Teatro di Venezia nell'estate 2013. In quell'occasione infatti diede
origine ad un primo studio sul poemetto scritto dal Bardo nel 1594, per dar
voce all'invettiva di una donna contro la violenza subita.<br />
Ogni cellula per nascere necessita di un nucleo che sappia
nutrirla e crescerla. Non importa quali siano gli elementi scatenanti che la
originano: ciò che conta è che quest'energia impellente, tratteggiata e sospesa
in atmosfere impercettibili, trovi forma in un vero impulso vitale. Come il
grido, di vita prima che di morte, travolgente, nato negli anfratti della
laguna blu di Venezia, “dove stelle che si credevano ormai spente tornano a
splendere. In un pomeriggio d'estate ho camminato a Venezia tra angeli e cori
ucraini... Il tempo del sacro è cominciato”. <i>You are my Destiny</i> nasce da quest'impellenza, ispirandosi al testo
shakespeariano, nonché a brani della <i>Storia di Roma dalla sua fondazione</i> di
Tito Livio, e li mescola con richiami precisi ai codici rituali medioevali.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il palcoscenico diviene in questo modo il luogo del rito, il
perimetro entro cui la regista inserisce fin dal primo istante elementi che
rimandano ad una misticità spirituale, quasi a voler invocare e incarnare su di
sé le vesti di cerimoniere, determinandone i tempi, i ritmi, la vita e la
morte.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
“Il tempo del sacro è cominciato”. Una frase che dà
materialmente avvio allo spettacolo, mentre un coro di voci ucraine accompagna
la prima visione della Liddell tra le vie di Venezia: si dice inseguita da un
uomo, è certa che la stuprerà e la ucciderà ma non prova paura. Il terrore la
divora quando l'uomo scompare e quando sente su di sé lo sguardo giudicante di
un gruppo di donne. “Qui finisce il sogno ed inizia la vita”: la regista si
chiude ermeticamente nel giubbotto di pelle indossato sopra ad un abito
turchese di paillette e tulle. Così si esce dal sogno raccontato per entrare
nel suo più vivo compimento.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoFguan0CDML2HDt2rK4xLa0KuUYOi-w9din4ng5wjxHhaAqm61SgEt3tQu3ZrFWV6toZET6jPcOA1zmznGqYkUk0yI0b_0HpupPROdS3RBNcs1qdrgqg7d5ptOHHfGxpyhSycykNfcXE/s1600/bongo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoFguan0CDML2HDt2rK4xLa0KuUYOi-w9din4ng5wjxHhaAqm61SgEt3tQu3ZrFWV6toZET6jPcOA1zmznGqYkUk0yI0b_0HpupPROdS3RBNcs1qdrgqg7d5ptOHHfGxpyhSycykNfcXE/s1600/bongo.jpg" height="418" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Una schiera di uomini si materializza in scena accompagnata
da un ritmo di tamburi: presagio di morte, invocazione di forze divoratrici che
cresce, fino a divenire un richiamo di grida sempre più forte che trasforma le
voci in gemiti, i corpi in fremiti, in una ritualità che pare non arrestarsi.
La Liddell fluttua tra gli impulsi sempre più cadenzati, in quello che non
appare come grido di silenzio ma come un flusso che origina vita. Il corpo
della regista ondeggia nel ritmo del tamburo, fino a scomparire, attraverso le
urla strazianti. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
I tamburi escono dalla scena e sul fondo compaiono in fila
alcuni uomini che restano sospesi, seduti sul vuoto. Con la schiena appoggiata
al muro, emettono grida di sofferenza. La Liddell, incurante di quanto sta
accadendo, si estrae dalla scena e sfodera il suo cellulare, in un'evidente
astrazione provocatoria: non solo rispetto allo strazio dei corpi abbandonati,
ma anche e soprattutto nei confronti del pubblico. La regista detta i suoi
tempi, lascia gli eventi in una stasi assurda quanto irreale. In proscenio, di
spalle, resta Lucrezia, silenziosa spettatrice. Osserva la Liddell uscire dal
suo stato di a-temporalità tecnologica per finalmente consolare gli uomini
sofferenti. Ma è consolazione di breve durata: al segnale della regista i
performer iniziano ad auto-flagellarsi con alcuni fazzoletti bagnati. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Lucrezia si spoglia e si sdraia a terra per prepararsi allo
stupro: il suo corpo, simile a quello di una bambola passa da un violentatore
all'altro. Così ogni uomo offre una diversa immagine, in pose statiche, del
proprio istinto animale, appassionato, lento o vorace. Da ciascun incontro
d'amore nascono i fiori.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Arriva il momento della morte: la Liddell accompagna
Lucrezia verso il suo triste destino, mentre quest'ultima si auto-schernisce il
petto, in un gesto esasperato che richiama la dualità tra stupro ed amore. I versetti
biblici di Isaia sullo schermo in proscenio propongono la metafora dell'uva,
mentre la Liddell dà inizio al suo rito
ancestrale: cosparge la scena di acini, beve birra e la getta a terra, canta,
balla e grida. Dispone tre fazzoletti bianchi a terra e su ciascuno di essi
pigia l'uva, mentre il suono quasi assordante delle campane l'accompagna. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
La seconda parte del rituale propone l'esumazione dei due
corpi di Lucrezia e Tarquinio. Essi, trasportati da una schiera di uomini in
lunghe tuniche nere, vengono cosparsi di foglie d'alloro e di chicchi di riso.
L'assurdità vuole che i due trovino l'amore nella morte, “sulle fiamme più alte
delle onde dell'Adriatico”, come ripete insistentemente in modo stridente la
Liddell. <o:p></o:p><br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmTMz3F_8WCyOC7-OAsbf1IOvqBKg8uOenBaH0Jeat4L8mhSiDJmIEI9FWIBlFOyeVNOIfLCscd3jVQLdaOhtf0vl2sfsETbvgkjxYufMz1oVVLyIl9Alwi-GsYVgRk90hBuyXfp2cPsA/s1600/birra.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmTMz3F_8WCyOC7-OAsbf1IOvqBKg8uOenBaH0Jeat4L8mhSiDJmIEI9FWIBlFOyeVNOIfLCscd3jVQLdaOhtf0vl2sfsETbvgkjxYufMz1oVVLyIl9Alwi-GsYVgRk90hBuyXfp2cPsA/s1600/birra.jpg" height="512" width="640" /></a></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
“L'unico che parlò d'amore fu lo stupratore Tarquinio. Non
parlò di potere, nazione, patria...”. Con queste parole la regista celebra un
finale che si chiude sulle note “You are my destiny..." di Paul Anka...Entra in
scena una strana auto di nozze che pare più un carro funebre, con tanto di
ghirlande e con una specie di cane alato morto sul tettuccio della macchina.
Tutti, performer e registi si muovono sinuosamente sulle note della canzone
lasciando a poco a poco la scena. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Più che uno spettacolo sullo stupro, quello della Liddell
pare più un lavoro su un amore altro: indefinibile, inqualificabile, oltre
qualsiasi limite convenzionale. Un sentimento che vede Lucrezia e Tarquinio
destinati a restare eternamente uniti tra le fiamme dell'inferno. Per questo,
il grido invocato a gran voce dalla regista è prima di tutto un urlo di vita
che nasce dagli abissi profondi e oscuri della morte. In questo grido la
performance offre uno scenario di linguaggi, e simbologie che rimandano a mille
universi differenti. Forse troppi, si resta schiacciati, imbambolati, ci si
perde in essi, per poi ritrovarsi in
quel groviglio dissacrante che la Liddell compone pezzo dopo pezzo come la
“sua” visione. Un'immagine che si materializza attraverso i suoi tocchi, le sue
grida, i suoi segnali. Cerimoniere del tempo, oltre che di significati,
contemplatrice dell'universo che si dispiega via via, la regista in scena
appare come una Lucrezia che interroga, svela sé stessa.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p><br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLM3RGlz-v7FnsoItzWCPjSZYJTvRTnZz9WyklmngTVxCO__U3IfCcZcYmP0wEsY4tKmsBElnrLC9hyphenhyphentsagapIo4IczO2PnEs81oApJXPY4HLj3trUtn7LSOyLBIFj3L8hif0KxH36HkI/s1600/motrte.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLM3RGlz-v7FnsoItzWCPjSZYJTvRTnZz9WyklmngTVxCO__U3IfCcZcYmP0wEsY4tKmsBElnrLC9hyphenhyphentsagapIo4IczO2PnEs81oApJXPY4HLj3trUtn7LSOyLBIFj3L8hif0KxH36HkI/s1600/motrte.jpg" height="512" width="640" /></a></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Lo spettacolo vive continuamente di piani doppi, triplici,
che si sovrappongono: la Liddell si insinua
nelle vesti di Lucrezia, ne esce, accompagna i personaggi, invoca e si
fonde in grida assordanti, danza, vive come una creatura aliena le viscere
della propria creazione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Lo spettacolo della Liddell sfugge a ogni tentativo di
definizione. Si tratta di una creazione che divide per la sua natura
irriverente, per il suo impatto di visioni non mediate, per osare l'indicibile
e l'inimmaginabile: uno stupro che abbandona il suo status immutabile di atto
contro-natura per divenire un amore altro. Certo, i mezzi per farlo spesso si
traducono in dilatazioni forse eccessive, a volte perfino superflue, mescolando
troppi elementi e simbologie che si rivelano fuorvianti. Ma il desiderio di interrogare quello stupro
riesce a fare di <i>You are my destiny</i> un atto di vita prima che di morte. E la
vita torna prepotentemente e ironicamente in scena nei saluti sulle note di
“Gloria” di Umberto Tozzi, forse un modo per debellare gli spiriti potenti
invocati in scena, accorgendosi così di quei chicchi d'uva sparsi in platea:
vero ultimo residuo di una ritualità che sfuma. <o:p></o:p><br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYGq_BKwo_djhFqYU37o9Aq7dZtxyvejPe4AMyUscrt9qGUPcH5hfaL4_QXRQDxbhXV7RyAUCTgr6tkSps_q9H8CT0LNxNhBr8otvpBnni23YeGK1p07Vs5jM8V7trZEiF8K_c6YYh2Sc/s1600/finale.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYGq_BKwo_djhFqYU37o9Aq7dZtxyvejPe4AMyUscrt9qGUPcH5hfaL4_QXRQDxbhXV7RyAUCTgr6tkSps_q9H8CT0LNxNhBr8otvpBnni23YeGK1p07Vs5jM8V7trZEiF8K_c6YYh2Sc/s1600/finale.jpg" height="640" width="512" /></a></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Visto a Modena, VIE Festival il 16.10.2014</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Carmen Pedullà</b></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-73470686825293812222014-10-17T06:43:00.000+02:002014-10-18T00:21:04.634+02:00Passim: sguardo sul Festival d'Automne<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<b>Introduzione di merito</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">La seguente recensione necessita forse di
un’introduzione da parte di chi scrive: nell’ambito degli studi per la tesi di
dottorato, è necessario un confronto con allestimenti scenici innovativi e
arditi nel panorama teatrale francese e italiano contemporaneo. Il <b>Théâtre du
Radeau</b>, che propone nell’ambito del Festival d’Automne di Parigi la sua ultima
creazione, fin dagli anni Ottanta presenta un lavoro interessato al rapporto
tra luci, suoni, movimenti e gesti, ispirati in parte alla danza e alle
performance circensi: spettacoli che spesso citano brani di testi teatrali, ma
anche filofosici o letterari più in generale. Ecco che allora la scena produce
una vera e propria drammaturgia visiva, nella quale tutti gli elementi (suoni,
parola, gesto, immagini) si ritrovano allineati e ordinati unicamente
dall’organizzazione mentale del creatore. In questo frangente, i titoli degli
spettacoli della compagnia spesso sono ispirati a movimenti mucisali (vedi <i>Coda,
Chorale</i>), ma non necessariamente: per il titolo del suo spettacolo Onzième,
Tanguy (regista della compagnia), afferma che non significa assolutamente
niente di logico, e che spera (in modo ironico naturalmente) che questo
chiarimento rassicurerà tutti gli spettatori. <i>Passim</i> rappresenta dunque
un’esperienza necessaria non solo per chi è incuriosito dagli sviluppi più
fertili del teatro attuale, ma anche nell’ottica della ricerca specifica del
sottoscritto. Tanto più che questo spettacolo si inserisce nel quadro del
festival teatrale più importante parigino, che propone quest’anno uno spazio
specifico dedicato tra gli altri a Romeo Castellucci (che si spera troverà
spazio anche in queste pagine).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCS6eBQYXpFQW1t_A8cjIjnEdcATwFfvg4D2V6gKSDrYFvGgerb1qL_xkRQZg8PgAJGib2XPJSB_qTa3SEb8ElCB2sh_GX7UQVg55ibhHM-WufAg3-5r34XFP8MM2FQM9KCzADmQHAguk/s1600/3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCS6eBQYXpFQW1t_A8cjIjnEdcATwFfvg4D2V6gKSDrYFvGgerb1qL_xkRQZg8PgAJGib2XPJSB_qTa3SEb8ElCB2sh_GX7UQVg55ibhHM-WufAg3-5r34XFP8MM2FQM9KCzADmQHAguk/s1600/3.jpg" height="341" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<b>Recensione</b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">Fin dalla sua entrata in sala, lo spettatore può
vedere sulla scena i veri protagonisti dell’allestimento: delle strutture in
ferro, come riquadri,di porte e finestre che durante lo spettacolo si “aprono”
per lasciar intravedere, lasciar immaginare momentaneamente i vari testi
evocati dagli attori. Ai lati della scena, si vedono appoggiate le quinte usate
solitamente sul palco: altre grandi quinte di legno, e tavoli e porte saranno
mosse e animate dagli attori in scena, in una danza continua, come un gioco di
scatole cinesi, che fagociterà uno dopo l’altro i mondi testuali. L’architrave,
la struttura della scena, il suo scheletro, sembrano così tornare in vita in un
gioco metateatrale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisDIcwW5lLyySfA95extv6uDVvdrmyQhpGs6euBki6adJtbXHe-QNo0x8BWxKY8IzqzBq3dbFs5nzVTuIf8X3n-jUa3cuXK5fFfpvZxKO-YoAgEsD6vKSqIIl-_NQr_uTX4PGFoFCp1PM/s1600/22.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisDIcwW5lLyySfA95extv6uDVvdrmyQhpGs6euBki6adJtbXHe-QNo0x8BWxKY8IzqzBq3dbFs5nzVTuIf8X3n-jUa3cuXK5fFfpvZxKO-YoAgEsD6vKSqIIl-_NQr_uTX4PGFoFCp1PM/s1600/22.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">Ma partiamo dall’inizio. Una luce crepuscolare
accoglie l’entrata di una sola attrice, mentre in una posa volontariamente
statica lascia ascoltare il suo testo al pubblico. L’enunciato coinvolge
soprattutto per la sua materia poetica, il significante è privilegiato rispetto
al significato, e spesso i silenzi che interrompono la declamazione sono più
evocativi del brano stesso, nel loro effetto straniante. Gli altri interpreti
spostano poi l’attrice come una marionetta e la musica copre per la prima volta
il testo, come succederà in modo continuo per tutto il resto dello spettacolo:
quando non è la musica a svolgere questa funzione, ci pensa la danza di porte e
quinte mosse dagli attori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">A volte gli interpreti arrivano quasi
all’immedesimazione nei personaggi: soprattutto quando viene evocata la scena
del <i>Re Lear</i> che lo porta alla pazzia, nel momento in cui il re esclude dalla
divisione del suo regno l’amata Cordelia. Ma anche in questo caso la musica, il
canto del re, forse espressione della sua pazzia, copre infine lentamente
questa scena, e resta soltanto l’impressione di un’impossibilità del dire
evocata dalla famosa scena shakespeariana. La stessa impressione si ritrova in
un secondo momento con l’entrata di Don Chisciotte a cavallo del suo
Ronzinante: il testo viene declamato in spagnolo, ma gli altri interpreti
coprirono il volto dell’attore con un elmo, in modo da rendere ancora meno comprensibile
il brano.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">I frammenti testuali, ostacolati così dalle
azioni sceniche, cercano di farsi ascoltare tramite la radio, ma un’ultima
volta la musica copre questo tentativo. Su scena restano quindi solo le sue
architravi (porte e quinte), mosse dagli attori non più visibili. Poi nel
silenzio e nel buio tornano lentamente gli interpreti, semplici figure umane,
solo per ricevere l’applauso finale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX5Gy1bxUqm4TjclQXvzyvdAUs4_yYHRtPSgENIihKKaGXp4HkK9gfmOx4TO4GYxAG8KxvboX6ynGXdk54wOgCUwTTgG483bJ5XHXlyro3kK2MbciQVABCMtynSCN-KDu0gkPNDFAhzPQ/s1600/4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX5Gy1bxUqm4TjclQXvzyvdAUs4_yYHRtPSgENIihKKaGXp4HkK9gfmOx4TO4GYxAG8KxvboX6ynGXdk54wOgCUwTTgG483bJ5XHXlyro3kK2MbciQVABCMtynSCN-KDu0gkPNDFAhzPQ/s1600/4.jpg" height="200" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">Cosa rimane allo spettatore? Una sorprendente
e ammirevole capacità di esecuzione degli attori, soprattutto nei loro
movimenti che si avvicinano a quelli di una danza (in cui il richiamo a Kantor
a volte diventa vera e propria citazione-omaggio). Delle immagini suggestive e
a tratti divertenti, come l’immagine-icona dello spettacolo nel foglio di sala,
ovvero il Don Chisciotte con addosso l’elmo. Delle musiche e canti mugolati
(soprattutto il re Lear) che inducono vere emozioni. Dei frammenti testuali,
ben declamati, in pose volontariamente statiche, che sono assai caratteristiche
(troppo) del teatro francese. Resta infine un’operazione registica
affascinante, ma nel suo evidente carattere erudito forse un po’ troppo cerebrale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">Le Théâtre du Radeau<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR">Visto il 5 ottobre 2014 al <b>Théâtre de
Gennevilliers</b>, Parigi nell’ambito del <b>Festival d’Automne</b>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: left;">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<span lang="FR"><b>Fabio Raffo</b></span></div>
</div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-16224433694068777062014-10-16T07:48:00.000+02:002014-10-16T07:48:38.806+02:00Homunculus 2014 – Splendenti nel buio del bosco<div class="MsoNormal">
Per il settimo anno consecutivo, torna a Ravenna il progetto
<i>Homunculus</i> a cura di TCP Tanti Cosi Progetti. Quest’anno, dal 17 al 26 ottobre,
gli eventi organizzati rifletteranno attorno al tema della visione, nutrendosi
in particolare delle avvincenti tesi sviluppate in merito da<b> William Bates</b>.<o:p></o:p><br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgVq-nOc99-28cFP_te-e_QDtDUhGskFScCtA7bS9WKAr3UQzsbZk0EdEfg2e-aLE9d3pC0oOz7rva1SPBoi0XQZV_xolQxokeQ3m7VTTpyLVFWIqGUQ9X1p54wu1GszzJUtrC9Ok4ur8/s1600/manifesto+Homunculus+14.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgVq-nOc99-28cFP_te-e_QDtDUhGskFScCtA7bS9WKAr3UQzsbZk0EdEfg2e-aLE9d3pC0oOz7rva1SPBoi0XQZV_xolQxokeQ3m7VTTpyLVFWIqGUQ9X1p54wu1GszzJUtrC9Ok4ur8/s1600/manifesto+Homunculus+14.jpg" height="400" width="282" /></a></div>
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Come ogni anno, Homunculus si sviluppa attorno a un’idea ben
precisa, ricercando modalità specifiche di evoluzione per la stessa al fine di
coinvolgere artisti, ricercatori e pubblico. Dopo le riflessioni sul corpo
sottile e l’addestramento al sogno lucido, l’anno scorso il progetto Homunculus
invitava sette artisti a provare un’esperienza psichica collegata a una mudra
dello yoga. Quest’anno, la programmazione ruota attorno al tema della vista,
soffermandosi su alcuni aspetti a essa collegati nelle teorie avanzate dal medico
statunitense William Bates: nelle sue tesi, Bates riconsiderava la visualizzazione
e la memoria come le strade principali attraverso cui ricondurre l’atto del
vedere alla percezione della realtà, esterna ma anche interiore. Ad aprire le
vie della visione, oltre alla capacità mentale di creare immagini e di
conservarle, fondamentale è l’assenza di tensione, segnalata dalla presenza, a
occhi chiusi, del nero perfetto, luogo di origine di tutte le visioni
interiori.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
“Dunque sviluppando la capacità di purificare questo nero,
sorgeranno insieme visioni e capacità visiva” spiega <b>Francesca Proia.</b> “La
visione interiore ha anche una dimensione collettiva. Homunculus propone
esperienze che possano produrre delle forme collettive pur preservando la
propria solitudine, il proprio senso dell'intimità. È una forma particolare
dello stare insieme”.<o:p></o:p></div>
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-WS1-Sou9APhRcXKWhqUzhIr5tAqKUAb8TzM1ArEF3YcW6Nbwktk6iMFFB07YtxC-3Bl1kuLMmO6OaLxJyxyTMS8Wo68kFks8g73vcjtQEwp_xm07ZC3E1avmskKiAiXVoktoBB0ZWxE/s1600/Filippo+Tappi,+Studio+di+occhio+(2013).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-WS1-Sou9APhRcXKWhqUzhIr5tAqKUAb8TzM1ArEF3YcW6Nbwktk6iMFFB07YtxC-3Bl1kuLMmO6OaLxJyxyTMS8Wo68kFks8g73vcjtQEwp_xm07ZC3E1avmskKiAiXVoktoBB0ZWxE/s1600/Filippo+Tappi,+Studio+di+occhio+(2013).jpg" height="320" width="232" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Filippo Tappi, <i>Studio di occhio</i> (2013)</td></tr>
</tbody></table>
<br />
A dare inizio alla settima edizione, il 17 ottobre alle ore
19.00 una conferenza, a cura di <b>Stefano Bartolini</b>, che introduce il tema del
vedere da un punto di vista filosofico ed esperienziale. Il 18 e 19 ottobre gli
artisti e ricercatori <b>Italo Zuffi</b> e <b>Filippo Tappi</b> presentano il laboratorio <i>Quando
vedere</i>: «un laboratorio teorico-pratico per ragionare il gesto della sosta e
del suo campo visivo, e da qui valutare i rudimenti di una tecnica. Dialoghi,
azioni e movimenti generati dal desiderio di piegarsi al proprio sguardo». Il
laboratorio vedrà tre conduttori coordinarsi per «sviluppare e condividere un
dialogo sulla possibilità di agire in deflagrazione. Essere presenti al proprio
sguardo, prendere dimora nella sua struttura architettonica». Non è prevista
una presentazione al pubblico. Il laboratorio avrà luogo al Circolo Endas, è
aperto a tutti coloro che sono interessati e si svolge in orari mattutini e
pomeridiani. Il 18 e 19 ottobre, inoltre, <b>Filippo Tappi</b> presenta ad Ardis Hall l’installazione
<i>Dilata interiora</i>, fruibile nei giorni 18 e 19 ottobre dalle 20 alle 22, con orario
continuato. Infine, il 24, 25 e 26 ottobre alle ore 21.00, ad Ardis Hall, sono
presentate le letture pubbliche Ascolta un’alba. Il progetto, ideato dalla
coreografa Francesca Proia, prevede l’ascolto di un testo mentre si assiste a
un passaggio di variazioni di luce che mima l’alba. Secondo la curatrice, «il
progetto si struttura attorno a testi scritti appositamente, dove ciascuno
prova a mettere a nudo la propria soggettiva percezione dello spirito, in
qualunque forma lo si sia potuto incontrare. Le letture si configurano come
semplici atti di presenza, in cui chi legge non è l'autore di quel testo, ma di
un altro. È proprio in questo ascolto di storie specifiche che riguardano la
vita degli altri che trovo una forma di cuore pubblico: esporsi crudamente per
ciò che si è, con la propria storia unica, senza ricette o soluzioni». Gli
autori coinvolti, oltre alla stessa Proia, sono Alessandro Berti e Adele
Cacciagrano. Ogni lettura ha una durata di circa 40 minuti. Al termine è
offerta la colazione.<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-82907747966993664542014-07-10T14:08:00.000+02:002014-07-10T14:14:52.440+02:00Le Parole e la Città: venti anni di teatro raccontati attraverso le parole dei cittadini<div class="MsoNormal">
«Un teatro lungo 20 anni, un progetto nutrito nove mesi»:
nove mesi per interrogare la città e i suoi cittadini, per chiedere alle varie
realtà che in essa si compongono le parole-chiave da cui ripartire per ricreare
una città fatta di azioni, di relazioni, di parole che acquistano senso perché
non si fermano solo all’essere dette, ma riescono a tradursi in realtà: questo
è il materiale di cui si nutre il progetto che la Compagnia Teatro dell’Argine
ha presentato nella Sala Tassinari di Palazzo d’Accursio nel corso della
conferenza stampa tenutasi il 3 luglio 2014. Un programma ricco di numeri,
oltre che di parole, le cui battute finali rientrano nell’ambito di bè bolognaestate:
uno spettacolo itinerante che dal 14 al 20 luglio vedrà in azione cento attori
e un ospite diverso per ogni sera, un convegno, un laboratorio che dal 7 al 20
luglio racconterà su vari canali il progetto spettacolare, cinque incursioni
teatrali, video-installazioni e più di cento abbecedari che potrebbero essere
pubblicati, un domani, per dare futuro alle parole che ispirano la rinascita e
il cambiamento della città, nella città.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgteGhM9MBKaZ-wWM_u8j14Uhp7KF5FmbMTt-gZmiECFBJaXRLjp-Eob3hIhUvi71P214RsAE7V5yNZiBZsL3Hgh1mgWhzIignpiYIG-KHfLh7YNboFl19gObZzUJ2nqp9TodzkrX5VZfU/s1600/par.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgteGhM9MBKaZ-wWM_u8j14Uhp7KF5FmbMTt-gZmiECFBJaXRLjp-Eob3hIhUvi71P214RsAE7V5yNZiBZsL3Hgh1mgWhzIignpiYIG-KHfLh7YNboFl19gObZzUJ2nqp9TodzkrX5VZfU/s1600/par.jpg" height="568" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;"><b><a href="http://teatrodellargine.org/site/lang/it-IT/page/45/project/22#.U3DMfnYR9as">LeParole e la Città</a></b></span> è il nome che contiene tutto questo. Un nome semplice
e immeditato, capace di raccontare il tipo di teatro che ha caratterizzato le
attività della Compagnia Teatro dell’Argine nel corso di questi vent’anni: «un
teatro per le persone, con le persone, insieme alle persone», come lo definisce
Andrea Paolucci, membro del direttivo artistico della compagnia con Nicola
Bonazzi e Micaela Casalboni e con loro rappresentante, nel corso della
conferenza stampa, della grande famiglia della Compagnia TdA. Il progetto presentato
si qualifica come sconfinato non solo per i numeri, ma anche per la portata
esperienziale che propone: lavorando anche a livello internazionale, quest’operazione
fonda la speranza di poter rinforzare il senso di comunità partendo dalle relazioni.
È esemplificativa, a tal proposito, la rete intessuta tra le varie associazioni
nazionali e non conosciute dalla compagnia in questi anni, costruita grazie
all’impegno costante della stessa nella mediazione culturale. Nove mesi di
lavoro, d’interviste, di ascolto hanno reso, alla fine, tutti protagonisti nel
gioco del raccontarsi, sviluppando una drammaturgia partecipata poiché creata da
persone che hanno regalato pensieri, ore e parole a questo progetto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
«Il nostro teatro è fatto di relazioni, è fatto di persone
che conducono esperienze e relazioni. Ecco perché il nostro spettacolo per
festeggiare il ventennale è una relazione tra persone. I cittadini recitano se
stessi, a fianco di attori professionisti, e il tutto si svolgerà in un campo
da calcio trasformato in luogo teatrale», spiega ancora Paolucci. Nel suo
svolgersi, lo spettacolo si rivela un viaggio per spettatore solo, impegnato a
tu per tu nella scoperta della bellezza di questa città “ideale”; un viaggio
però sempre di matrice teatrale, da terminarsi nella relazione che il teatro
esige oltre che creare, strappando lo spettatore alla sua solitudine e
restituendolo all’unione del pubblico partecipante nella parte conclusiva, di
volta in volta affidata a ospiti diversi. Un grande regalo fatto dalla
Compagnia Teatro dell’Argine alla comunità, ma anche un’importante occasione di
autoriflessione sul bisogno di definire la portata di “un teatro che vuole
farsi territorio in un territorio che forse può farsi teatro, o meglio
cultura”, come suggerisce Micaela Casalboni nel presentare i punti alla base del
convegno <i><b>Teatrocentrocittà</b></i>, che verrà ospitato il 17 luglio all’Arena del Sole.
Un convegno che prende le mosse da un dato allarmante, reso noto da Francesco
De Biase nel corso delle ultime Buone Pratiche (Milano 2014): il 60% dei
cittadini europei non mette mai piede in un luogo di cultura, e in Italia la
percentuale sale all’ 80%. Dati che
rivelano come la maggior parte dei cittadini non trovi spazio per la cultura
nella sua quotidianità, probabilmente perché continuano a ritenerla elitaria;
dati che denunciano il bisogno di dimostrare l’infondatezza di questi preconcetti
e dare luogo a tentativi di soluzione, come proveranno a fare i relatori
impegnati nel convegno, appartenenti a svariate categorie impegnate nel mondo
teatrale (artisti, critici, tecnici ma anche spettatori) e invitati, alla fine
dello stesso, a esporre le loro idee in quattro tavoli di lavoro attorno ai
quali applicarsi attivamente nella ricerca di una possibile soluzione: ancora
una volta, tutto parte dalla relazione. Inoltre, cinque <b>incursioni cittadine</b> invaderanno
Bologna dal 10 al 19 luglio, sviluppando azioni teatrali itineranti che
vedranno comunità di persone, contraddistinte dalla gioia propria della
partecipazione teatrale, impegnate nel raccontare la città con parole usate da
scrittori, pensatori, poeti e non solo. Tra le possibilità offerte da questo progetto,
rientra il laboratorio condotto da Massimo Marino, non a caso intitolato <b><i>Il
teatro La città Lo sguardo</i></b>: queste tre parole guideranno lo spettatore nell’acquisizione
di una maggiore consapevolezza nel
relazionarsi allo spettacolo, consentendo ai partecipanti di rapportarsi con il
difficile lavoro dello “sguardo che racconta” la magia teatrale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3yAmNEFo7RzNQpmEffV527xAqzrQAPlHnLNlYubn5rqHe3FWi5SZ_36kY2FVqh6ZZsmwKAEb2ZjA65o2zvb_ohp2H89bVbdyZhJTaY6J5l-Fh346LH5a1WzBMe8vEroId7DEthZhNpOs/s1600/sta.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3yAmNEFo7RzNQpmEffV527xAqzrQAPlHnLNlYubn5rqHe3FWi5SZ_36kY2FVqh6ZZsmwKAEb2ZjA65o2zvb_ohp2H89bVbdyZhJTaY6J5l-Fh346LH5a1WzBMe8vEroId7DEthZhNpOs/s1600/sta.jpg" height="478" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il progetto si rivela interessante anche per le modalità di
fruizione offerte al pubblico, accompagnato nel suo visitare i luoghi di questa
città “ideale” da un’audioguida che racconterà le parole e le storie all’origine
della città, prevedendo ben tre lingue diverse e modalità di fruizione apposite
per bambini e audiolesi. Ancora una volta, la Compagnia Teatro dell’Argine pone
alla base del suo lavoro l’importanza dell’inclusione culturale, e la validità
del suo impegno in questa direzione viene sottolineata dalle parole usate da Isabella
Conti, sindaco di San Lazzaro, nel raccontare come «questo spettacolo chiarisce
il ruolo che la Compagnia Teatro dell’Argine ricopre per il territorio e per la
comunità: da vent’anni crea cultura, genera ricchezza e slanci verso la
cultura, e il modo con cui questi vent’anni vengono celebrati ribadisce
l’appartenenza del teatro alla città come luogo ma anche come comunità di
persone, e soprattutto l’importanza delle parole: le parole creano identità e
aprono possibilità riflessive, inducono all’autocoscienza e permettono a
ciascuno di essere attore, nel senso di essere persona che agisce per creare
rete, relazione, comunità». Parole
forti, se si pensa al particolare stato di disinteresse in cui, a livello
nazionale, spesso languiscono realtà teatrali di questo tipo e al ruolo
importante che i cittadini ricoprono, nel dimostrarsi lungimiranti rispetto
alle pubbliche istituzioni nei confronti di realtà impegnate nella creazione di
relazioni e nella consapevolezza dell’utilità pubblica della cultura, come
osservato nel suo intervento da Alberto Ronchi, assessore alla Cultura e ai
Rapporti con l’Università del Comune di Bologna. <o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
È un progetto grande, grande quasi quanto una città, al cui
centro vi è un’idea di teatro e di relazione capace di abbracciare vent’anni di
attività nel corso dei quali l’identità della Compagnia Teatro dell’Argine si è
consolidata attorno alle persone, alle azioni che coinvolgono le persone, alle
possibilità che apre l’arte. È la celebrazione di quello che il teatro dovrebbe
essere: un luogo, un tempo fatto di relazioni, uno sguardo tra persone capace
di creare comunità. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Elvira Scorza</b></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-72896014361385398632014-06-26T12:23:00.000+02:002014-06-26T12:23:38.256+02:00Un'isola piena di suoni: il workshop internazionale di teatro dei Cantieri Meticci<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<b>Cantieri Meticci</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
presentano</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<b>Un'isola piena di suoni</b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<b><br /></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
Laboratorio Internazionale
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
di teatro, danza, scrittura,
fotografia, video e musica</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
<br />
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
30 giugno – 6 luglio ore 18-20
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
Performance finale 6 luglio ore 21
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: center;">
Cortile del Pozzo di Palazzo D'Accursio
- Bologna</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
Ogni giorno, dal 30 giugno al 5 luglio, dalle 18 alle 20, lo
splendido <b>Cortile del Pozzo di Palazzo D'Accursio</b> si trasformerà in
una fucina di pratiche artistiche condivise, in un’installazione
multimediale, in un mercatino dove si scambiano storie, in un grande
atelier in cui partecipare a laboratori di teatro, danza, scrittura e
video.<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIlCuNYC6uZ0euJadFLBA-QUefsa2Hz1QAND0PHRLhm-LNQUu9t3wIurUFDY8p0mXvRUqVRu0-TmIiqIr6IcSKVSt2GHsM6zUo7BrfUrYALuFA2a1OiNdx2qTrGS3vKfVV6xBLw1MI24g/s1600/locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiIlCuNYC6uZ0euJadFLBA-QUefsa2Hz1QAND0PHRLhm-LNQUu9t3wIurUFDY8p0mXvRUqVRu0-TmIiqIr6IcSKVSt2GHsM6zUo7BrfUrYALuFA2a1OiNdx2qTrGS3vKfVV6xBLw1MI24g/s1600/locandina.jpg" height="640" width="444" /></a></div>
<br />
In occasione della terza tappa di un percorso di ricerca che ha
già attraversato <b>Parigi</b> e <b>Varsavia</b> e che toccherà dopo<b> Bologna</b>,
<b>Helsinki</b>, <b>Milano</b>, <b>Berlino</b> e <b>Anversa</b>, un team di artisti
internazionali, coordinati da <b>Pietro Floridia</b>, guiderà i
partecipanti al laboratorio nella creazione di testi teatrali, scene,
coreografie, video a partire da <i>La Tempesta</i> di Shakespeare,
messa in relazione con parole/concetti chiave quali ghetto,
colonizzazione, stigma.
<br />
<br />
I materiali artistici creati verranno presentati nell'ambito della
grande performance finale <i>Un’isola piena di suoni</i> che andrà
in scena il 6 luglio alle ore 21 presso il Cortile del Pozzo.<br />
<br />Il laboratorio è condotto da:<br />
<b>Pietro Floridia</b> (Cantieri Meticci, <b>Bologna</b>), per regia e
drammaturgia<br />
<b>Alicja Borkowska</b> (Strefa WolnoSłowa, <b>Varsavia</b>), per assistenza
alla regia
<br />
<b>Linda Fahssis</b> (Cie Check Points, <b>Parigi</b>), training degli attori e
ricerca drammaturgica
<br />
<b>Tomasz Gromadka</b> (Strefa WolnoSłowa, <b>Varsavia</b>), drammaturgia
<br />
<b>Sebastian Klim</b> (Istituto Teatrale, <b>Varsavia</b>), illuminotecnica
<br />
<b>Marek Płuciennik</b> (Ptarmigan, <b>Helsinki</b>), videomaking
<br />
<b>Alejandro Olarte</b> (University of Arts of <b>Helsinki</b> – Center for
Music and Technology), suono e musica
<br />
<b>Viviana Salvati</b> (Cantieri Meticci, <b>Bologna</b>), drammaturgia<br />
<b>Luana Pavani</b> (Cantieri Meticci, <b>Bologna</b>), scenografia<br />
<b>Yulia Vorontsova</b> (Cantieri Meticci, <b>Bologna</b>), coreografia.<br />
<br />In collaborazione con l'intero ensemble dei <b>Cantieri Meticci</b>.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhg5uuisxjZN7haetV_xcJKzl4WIvRAtvcwmQDuSeT3UgS76aP2xl5o6sTkD_fV1hGdcs0w_GYrmY0rOh5EMzfu-ggThNa4qvunpqPQ-Mk8gTzbCFWfcQRRKizc5hFJQRKLhN9oL58F4bY/s1600/foto+foto+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhg5uuisxjZN7haetV_xcJKzl4WIvRAtvcwmQDuSeT3UgS76aP2xl5o6sTkD_fV1hGdcs0w_GYrmY0rOh5EMzfu-ggThNa4qvunpqPQ-Mk8gTzbCFWfcQRRKizc5hFJQRKLhN9oL58F4bY/s1600/foto+foto+1.jpg" height="480" width="640" /></a></div>
<br /><i>Questa isola è piena di suoni” dice Calibano, personaggio de
La Tempesta. A partire da questo verso, [...]andremo ad indagare
l'isola sì come luogo di esilio, come campo ristretto, dentro il
quale la convivenza si fa forzata e si surriscalda fino a generare
sopraffazioni ma anche come luogo protetto, luogo in cui forse
abbiamo una chance di dare vita ad un'organizzazione del mondo
differente, forse più a misura d'uomo, in cui l'agire politico ha
meno bisogno di intermediari, in cui diventa possibile percepire
l'impronta del nostro agire</i>.<br />
<br /><br />
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Info e iscrizioni:</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
info@cantierimeticci.it</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
339 5972782</div>
<div align="CENTER" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://www.cantierimeticci.it/">www.cantierimeticci.it</a> <a href="http://www.cityghettos.com/">www.cityghettos.com</a></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-46241076280991981082014-06-08T16:35:00.000+02:002014-06-16T11:44:44.773+02:00Il Canto Infranto de La Baracca - Testoni Ragazzi<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">Dalla palestra di una scuola di
Villa Fontana (frazione di Medicina) escono i ragazzi del laboratorio
residenziale organizzato da <b>La Baracca - Testoni Ragazzi</b>. Sono
eccitati, felicemente stanchi, hanno dormito tutti insieme in
palestra per l'ultima notte e c'è chi già si rattrista. In due
giorni molto intensi, diretti da <b>Gabriele Marchioni</b> ed <b>Enrico
Montalbani</b> del Teatro Testoni, <b>Andrea Campiglio Rodegher</b> del Teatro
Prova di Bergamo e <b>Jorge Martinez Moreno</b> dell'Università Autonoma di
Barcellona, i giovani si sono confrontati con il tema molto complesso
della violenza. Il <b>Cantamaggio</b>, che fin dalla sua nascita (1998) si è
sempre occupato di tematiche sociali, quest'anno si lascia
coinvolgere dalla storia di Carmela, una tredicenne che, in seguito
a una violenza, decide di togliersi la vita perché la sue richieste
di aiuto restano inascoltate. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">Il Cantamaggio nasce dall'esigenza
dell'incontro e della condivisione di un'esperienza che si apra al
confronto, rifuggendo da ogni tipo di competitività. Cento giovani,
attraverso la modalità del laboratorio, imparano ad ascoltare
l'altro e a entrare in sintonia con se stessi, e mostrare poi i
risultati ottenuti con un esito spettacolare, <i>Canto Infranto</i>.
Il tema dell’ascolto è stato una costante del laboratorio,
sottolineato soprattutto dalle parole di <b>Bruno Cappagli</b>, uno degli
ideatori del Cantamaggio: i ragazzi sono stati incitati a percepire
profondamente il senso delle parole pronunciate, a prendere coscienza
del tema della violenza, un problema così quotidiano che ormai ci
lascia indifferenti, come di fronte a una condizione normale e
irreversibile. La violenza, sia fisica che psicologica, viene così
analizzata ad ampio spettro: riguarda tutti, donne, uomini e bambini.</span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9tGhyphenhyphenf3K_s06ZSEUfF74c_CGEJCehTdbX2r8he145h99YArWS-dEGehSqNxdvwBOfpIc3fPKafYoFl37SgloFzfFVSbwR_AeNHYrBKYZfh8Y614spS3a6SlLR0b-QpUG3qaZDD9pbi50/s1600/cantamaggio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9tGhyphenhyphenf3K_s06ZSEUfF74c_CGEJCehTdbX2r8he145h99YArWS-dEGehSqNxdvwBOfpIc3fPKafYoFl37SgloFzfFVSbwR_AeNHYrBKYZfh8Y614spS3a6SlLR0b-QpUG3qaZDD9pbi50/s1600/cantamaggio.jpg" height="640" width="424" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">A poco a poco la palestra si svuota,
tutti i materassini, giacigli provvisori dei tanti giovani accorsi al
Cantamaggio, vengono riposti e si parte alla volta di Medicina, dove
ad attenderci ci sono il resto dei partecipanti. Vengono da diverse
parti d'Italia, ma non solo: molti di loro infatti sono spagnoli. Il
loro palcoscenico è un prato verde; una dolce collinetta che lo
sovrasta, creando una sorta di anfiteatro naturale, è la platea di
noi spettatori. Oggi i ragazzi mostreranno il proprio lavoro e c'è
ancora tanto da fare. Il sole scotta, sono stanchi e accaldati, ma
hanno una grande voglia di sperimentare e di mettersi in gioco. Bruno
Cappagli ha il compito di combinare le diverse parti di questo grande
coro di giovani di tutte le età e lo fa con pazienza e dedizione.
Dopo aver assistito al montaggio e alla prova generale, ecco
finalmente lo spettacolo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">L’inizio accende fin da subito la
curiosità del pubblico: all'improvviso un nutrito gruppo di ragazzi
corre verso il centro cantando e tenendo stretto tra le mani chi un
palloncino azzurro, chi uno rosa. ''È nato, è nata!″, gridano. Un
simbolico parto annuncia la nascita di un maschietto e di una
femminuccia, che, attraverso le parole degli adulti che ne commentano
l'aspetto e ne decidono già il futuro, si ritrovano ben presto
ingabbiati negli stereotipi di genere. Si pone il problema
dell'identità: chi sono io se esco fuori da uno schema preesistente
che mi caratterizza quale maschio e quale femmina? Chi sono io se
decido di non conformarmi a una serie di ruoli già predestinati?
Nello spettacolo viene utilizzato l'espediente del filo rosso: ogni
ragazzo ne ha uno tra le mani, e lo utilizza per disegnare sul prato
un quadrato dentro il quale posizionarsi. Esso rappresenta l'identità
di ognuno di noi, che si frantuma nella necessità di dover
rispondere a queste domande. È il filo rosso del nostro essere che,
se da una parte mette in contatto il nostro mondo con quello
dell'altro, dall'altra delimita un confine tra il nostro spazio e
quello degli altri, uno spazio sacro che non va violato e che non
abbiamo il diritto di violare. Il coro di giovani è ora
letteralmente imbrigliato in una ragnatela che li avviluppa, quella
dei luoghi comuni, nella quale si rischia di restare soffocati.</span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">Il mondo femminile e quello
maschile, dei quali si dovrebbero ascoltare e accogliere le naturali
differenze, diventano campo di battaglia in cui combattere in nome
dell'incomprensione. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">Lo spettacolo si chiude con una
lunga fila di scarpe rosse: si tratta di un omaggio all'istallazione
<i>Zapatos Rojos</i>,<i> </i>realizzata nel 2009 dall'artista
messicana <b>Elina Chauvet</b>. Scarpe rosse come il sangue, come la
violenza, come labbra che si serrano di fronte alla possibilità di
parlare, di denunciare. Delle donne restano solo le scarpe. I ragazzi
si avvicinano al pubblico e lentamente consegnano a qualche
spettatore l'estremità di un lungo nastro bianco. Ora gli attori e
il pubblico si trovano insieme a osservare un mucchio di scarpe
rosse, vuote. E pronti a scegliere.</span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">Anche quest’anno il Cantamaggio
diventa luogo di riflessione, in cui ragazzi di diverse età e
diverse culture, attraverso il confronto con gli altri e grazie allo
strumento del teatro, possono prendere una posizione chiara nei
confronti della realtà che ci circonda e che oggi, più che mai, ha
bisogno di ripartire dai giovani per recuperare un senso.</span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;">Visto il 1° maggio a Medicina.</span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<br /></div>
<div lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in; text-align: right;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;"><b>Nella Califano</b></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<span style="font-family: Calibri, sans-serif;"><br /></span></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" lang="it-IT" style="line-height: 100%; margin-bottom: 0in;">
<br /></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-43861340902514945212014-05-20T01:00:00.000+02:002014-05-20T01:00:41.579+02:00La notte di Helver<div class="MsoNormal">
Quattro pareti avvolgenti, una cucina, una
radio sullo sfondo e una finestra che fa intravedere le minacce del mondo
esterno: il <b>Kamerni Teatar 55</b> allestisce un teatro tradizionale, dove a contare
soprattutto sono il testo, fatto di parole che colpiscono come pietre, e la
forte fisicità e impressionante immedesimazione di <b>Mirjana Karanović</b>, la
“prediletta di Kusturica” (foglio di sala) e il giovane <b>Ermin Bravo</b> nei ruoli. Dall’inizio alla fine i due mattatori tengono
in pugno lo spettatore tra alti e bassi di tensione, scontri, incontri,
abbracci, carezze, mani intorno al collo – tutto questo nonostante la difficoltà
di seguire i sovratitoli, spesso purtroppo sfalsati.</div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Non contano nemmeno i dettagli secondari della
storia, avvolti nella notte – il dove, il quando (la notte dei cristalli?),
l’esatta relazione tra i due personaggi, che si evince solo in un secondo tempo
– quanto piuttosto solo il “qui e ora”. E il qui e ora sono una donna,
madre-moglie-sorella, nel suo ruolo di accuditrice, e un bambino-uomo troppo
cresciuto solo fisicamente, Helver, che cercano un riparo dalle violenze del
mondo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJiPRz9-38K3D-3RtDR1NNzgyV-2Ne3exSbHA8kGRQPpYkpuK0e51WaftAeuRlIzwK51JaeXBcRIUDeCNkpKbBrPkV5LFPa2ZvNPdY2764dUZMc8AidE1QGl3JJ6Ihyphenhyphenr2EOnUlvL4znYc/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJiPRz9-38K3D-3RtDR1NNzgyV-2Ne3exSbHA8kGRQPpYkpuK0e51WaftAeuRlIzwK51JaeXBcRIUDeCNkpKbBrPkV5LFPa2ZvNPdY2764dUZMc8AidE1QGl3JJ6Ihyphenhyphenr2EOnUlvL4znYc/s1600/1.jpg" height="640" width="426" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">La notte di Helver però è soprattutto mentale,
Helver non ha difese razionali nei confronti del mondo, per lui è tutto un
gioco: la guerra è un gioco, le marce, la svastica sul braccio sono un gioco,
le violenze sui più deboli, sui disabili come lui, sono un gioco, forse
crudele, ma inevitabile nella sua infanzia permanente.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLHfBWi2mb37r3c7Emz6myMM9USBMFhwfA12GmuGDwOPqGvUsqHXjjnSN3MpDaey5z8g5tzPnesQDJ69u2f65iAAmZePJDwhRZHKG1IcMZJ_LQgTYyri_pO89oZ7jg_UDW-k2shl-DR3Q/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLHfBWi2mb37r3c7Emz6myMM9USBMFhwfA12GmuGDwOPqGvUsqHXjjnSN3MpDaey5z8g5tzPnesQDJ69u2f65iAAmZePJDwhRZHKG1IcMZJ_LQgTYyri_pO89oZ7jg_UDW-k2shl-DR3Q/s1600/2.jpg" height="302" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">E questi giochi
entrano nello spazio protetto della casa, lo infrangono, e mettono a
repentaglio in modo inquietante anche il suo rapporto con la donna-madre, in
cui lui la domina all’ombra del potere del mondo esterno: entra in scena
vestito come un soldato tedesco, sventolando la bandiera nazista. Poi però questo
gioco viene mitigato dall’innocenza di Helver, dagli abbracci della donna che
lo cullano, dal suo gioco infantile con i soldatini e per un momento il riparo
sembra di nuovo prendere forma. Ma anche la donna mostra le sue debolezze, con
le sue minacce a Helver di abbandonarlo alla clinica, cosa che all’epoca
significava torture, esperimenti “scientifici”, molto probabilmente morte,
perché lui sembra aver perso le lettere d’amore dell’ex marito che lei
conservava. La violenza dell’esterno intanto si fa sempre più incombente: dalla
finestra viene lanciata una torcia accesa e la donna cerca di mettere in salvo
Helver facendolo rivestire da nazista. Ma l’unica fuga possibile è la morte:
Helver non riesce a tenere fronte alle difficoltà esterne, troppo superiori
rispetto alla sua innocenza, e alla donna non resta che farlo “addormentare”.
La notte ridiscende sulla solitudine di lei di fronte alla minaccia sempre più
incombente del linciaggio, con un rullio di tamburi sempre più forte e
inquietante.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Un finale cupo e certo non consolatorio chiude
lo spettacolo, che ricorda le violenze della storia, ma anche quelle attuali –
il Kamerni Teatar 55 iniziò il suo lavoro di compagnia sotto le bombe a
Sarajevo, durante la guerra civile – ma la vivida emozione lasciata
dall’eccezionale performance dei due attori testimonia di un’unica resistenza
possibile di fronte alle ingiustizie del mondo, e cioè raccontarle,
trasmetterle, nella speranza che un giorno questo dolore non sia più
necessario.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span lang="FR"><i>La notte di Helver</i>, Kamerni Teatar 55<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span lang="FR">Visto alla <b>Stazione Leopolda di Firenze</b>, 17 maggio 2014<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: right;">
<span lang="FR"><b>Fabio Raffo</b></span></div>
<br />
<div>
<br /><div id="ftn2">
</div>
</div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-1547418804771031052014-04-30T10:27:00.000+02:002014-04-30T10:27:05.634+02:00Emozioni di un mimo nella Russia di Evgenij Onegin<div class="MsoNormal">
L’arte del Teatro riesce sempre a diffondere una scia
d’incanto, tanto tra il pubblico seduto comodamente in poltrona quanto dietro
le quinte del palcoscenico. Lasciarsi trascinare è, dunque, inevitabile,
soprattutto quando si ha l’emozione di essere stati scelti per farne parte.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
La mia recentissima esperienza di mimo all’interno
dell’opera <b><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Evgenij_Onegin">Evgenij Onegin</a></b>, in calendario al <b>Teatro Comunale di Bologna</b> dall’1
al 9 aprile 2014, ne è stata la dimostrazione: quando ricevetti da parte del Responsabile
dell’Ufficio Regia <b>Gianni Marras</b> la telefonata di convocazione per un’audizione
in qualità di figurante, avvenuta a seguito di un’accurata selezione tra i curricula
vitae archiviati, stentai a credere alle mie orecchie.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLnpWMPjkkGAuM7F5Pav-iZWfVzQ8UCl-paWHO4VWMpO3c-dmRIItO6rN8pgqATDvw1HxxhdC3Gj3xB9uWprxMe1uTMs9zcXnTFpM1rPgg3kkqu5z9UCf0dAkxvxAveGBgC7VcGfh28jY/s1600/tn_evgenij-onegin_antepiano_i4q4996ph_rocco_casaluci_2014_512x0_62fb3860f253aa3a12a0cbc559bc64ba.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLnpWMPjkkGAuM7F5Pav-iZWfVzQ8UCl-paWHO4VWMpO3c-dmRIItO6rN8pgqATDvw1HxxhdC3Gj3xB9uWprxMe1uTMs9zcXnTFpM1rPgg3kkqu5z9UCf0dAkxvxAveGBgC7VcGfh28jY/s1600/tn_evgenij-onegin_antepiano_i4q4996ph_rocco_casaluci_2014_512x0_62fb3860f253aa3a12a0cbc559bc64ba.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Le prove, iniziate intorno alla metà di marzo, riservarono sin
da subito delle piacevoli – e al contempo disarmanti – sorprese. <b>Emil Wesołowski</b>,
stimato coreografo polacco di tradizione classico-accademica, introdusse la
sequenza di passi della prima entrata in scena avvertendo me e i miei colleghi
che avremmo dovuto interpretare il ruolo di tre contadinotti, goffi e
scoordinati, selezionati per danzare al cospetto dei gentiluomini, protagonisti
del dramma. Ovviamente la risata faceva da padrona in quella minuscola sala da
ballo, ma il velo d’ironia di questa piccola scena del secondo atto aveva solo
il compito di smorzare lievemente la tragicità delle circostanze, allietando
gli sguardi del pubblico in sala con abiti dai colori sgargianti, luci
fosforescenti e le simpatiche note dell’aria di Triquet, egregiamente
interpretato dal tenore <b>Thomas Morris</b>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Difatti, i suggerimenti ricevuti dall’eclettico regista <b>Mariusz
Treliński</b> votavano perpetuamente a enfatizzare il meno possibile qualsiasi
linguaggio corporeo, prediligendo di contro un forte senso di austerità e
magnificenza, incorniciato da ammiccanti sorrisi e ringraziamenti verso gli
astanti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Se questo primo ingresso in scena appariva poco impegnativo,
il secondo richiedeva una dose di concentrazione e precisione dei movimenti
tale da confondersi con quella impiegata in una performance di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Butoh">danza butō</a>,
evocata più volte dallo stesso regista polacco come valido <i>exemplum</i>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Si trattava dell’ultima scena del secondo atto, quella del
duello tra il protagonista omonimo dell’opera e il suo più caro amico, Vladimir
Lenskij, sopraffatto dal Destino di morte. A loro si affiancavano Zareckij,
secondino del <i>moriturus</i>, e Guillot, giovane servo di Onegin e testimone della
sua vittoria. Proprio di quest’ultimo personaggio ho indossato le vesti, quasi
fino al punto di cucirle addosso al mio spirito. Nell’interminabile camminata
d’ingresso in scena, lenta ma vigorosa, penetrava in me la consapevolezza della
tragedia che stava di lì a poco per verificarsi e, soprattutto quando i ruoli
dei duellanti erano interpretati dalla coppia <b>Artur Rucinski</b>/<b>Sergej Skorokhodov</b>,
mi travolgeva una tale valanga di emozioni da sentire il bisogno di sostenermi
davvero col bastone del costume di scena.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNxec11t1PRU3eIViG4AWrotrDvY5w4Z0WHy2Z44YIa7UDlMoq2Hr_ZJ4OSowcszYpkQifLGTwKHhwd8bXo4qGiOzGEeVzoqtmAXMkNqHaO8DdT_8MGeAWzfOVp_elf8Zbs2FjDilw6QM/s1600/906214_10154046802690422_562253480927091885_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNxec11t1PRU3eIViG4AWrotrDvY5w4Z0WHy2Z44YIa7UDlMoq2Hr_ZJ4OSowcszYpkQifLGTwKHhwd8bXo4qGiOzGEeVzoqtmAXMkNqHaO8DdT_8MGeAWzfOVp_elf8Zbs2FjDilw6QM/s1600/906214_10154046802690422_562253480927091885_o.jpg" height="418" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
E persino nel momento dello sparo, seppur consapevole della
finzione teatrale, il mio respiro veniva comunque smorzato dall’intenso pathos
dell’azione scenica, alimentato dal candore – oserei dire – opprimente dell’ “occhio
di bue”, del vestito del defunto e della neve che accarezzava dolcemente le
maniche del mio cappotto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Pregno di cotanta gravità d’animo, mi apprestavo a svolgere
il compito più faticoso, quello di restare in scena per tutta la durata del
terzo e ultimo atto, il più drammatico e angosciante.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Insieme coi miei quattro colleghi, vestiti interamente di
nero e imbevuti di un’aria cupa e tenebrosa, mi muovevo sempre intorno al
protagonista, accerchiandolo più volte per issarlo e poi lasciarlo crollare sul
pavimento: noi cinque eravamo la sua coscienza, annerita dalla colpa di aver
rinunciato all’affetto di Tat’jana, unica donna in grado di accettare il suo stile
di vita <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Dandy">dandy</a>. A guidarci, come un abile manipolatore di burattini, era “O”, la
vera novità di questa produzione lirica: un personaggio fortemente eloquente
nel mutismo del suo ruolo, interpretato dallo stesso coreografo Wesołowski e
meritevole delle ovazioni ricevute alla fine di ogni recita.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfg_GwpbTgwUkCwdclq90v2LHNL9Fu3vvdtIt6_xJoBXtqsOcgNfZaAvYICvVxuxGLuGAUw-UXF4EZHUQ0q5Wcn6kO5yVhtuDzvkCX6Qx46kY0ZTznqln5zWd3-YeMzC_lN7g1DoYgoFU/s1600/tn_evgenij-onegin_antepiano_i4q5210ph_rocco_casaluci_2014_512x0_7e107f8cc9ae16eae19022cfe043c719+(1).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgfg_GwpbTgwUkCwdclq90v2LHNL9Fu3vvdtIt6_xJoBXtqsOcgNfZaAvYICvVxuxGLuGAUw-UXF4EZHUQ0q5Wcn6kO5yVhtuDzvkCX6Qx46kY0ZTznqln5zWd3-YeMzC_lN7g1DoYgoFU/s1600/tn_evgenij-onegin_antepiano_i4q5210ph_rocco_casaluci_2014_512x0_7e107f8cc9ae16eae19022cfe043c719+(1).jpg" height="382" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
La vocale del nome equivaleva a quella di Onegin: era il suo
alter ego, ma anche il suo fantasma; il suo passato, ma anche il suo futuro. Lo
<a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Yin_Yang">yin e yang</a> di un uomo perennemente tediato dalla vita, ma nello stesso tempo
scosso da incontrollabili paturnie amorose, giudici del suo Destino fino al tragico
epilogo. Avvolto in una pesante tovaglia di velluto purpureo e illuminato da
cinque deboli fiammelle, il “vecchio” Evgenij si lascia morire tra le braccia
dei suoi scagnozzi placando per sempre i rimpianti della vita.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p> </o:p> </div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Marco Argentina</b><o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-34268723553455159742014-04-18T12:23:00.000+02:002014-04-18T12:23:22.870+02:00Senz'aria da vedere: il desiderio di vita di Maisia Teatro<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Lo spazio
stretto, quasi mentale, in cui lo spettatore si ritrova a essere catapultato,
fa dello spettacolo <i>Senz’aria</i> della compagnia <b>Maisia Teatro</b> una <i>pièce</i>
psicologica. Ci accomodiamo in una piccola sala, in via De’ Malcontenti a
Bologna, che solo dopo scopriremo contenere segreti impronunciabili.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Dalle parole
del foglio di sala conosciamo le sorelle De Montis: Addolorata detta Ada (<b>Elina
Nanna</b>) e Immacolata detta Imma (<b>Francesca Bagnara</b>). Forte e severa la prima,
debole e sorridente la seconda. Una indossa vestito e trucco total black, l’altra uno spezzato bianco e nero. È un
rapporto ambiguo che affonda le radici in un passato nascosto, ma che emerge
lento e tormentato. La storia procede
con gesti lenti, solenni, e dialoghi funerei, che smorzano qualsiasi accenno di
vitalità della secondogenita.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgb5wdlc8w1YLLwd77JIUtfmXFhGXpi96P3S3u0vkTn7tpY_JXtF-bQNNUqAbr5H0Nk9s4fG5v36q-f27Rwg5ufEYMyWqGzk5tKSz1NSmbaGKCVBQlZZzr7d8JF-clawS9RnTkDu_7-mjc/s1600/3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgb5wdlc8w1YLLwd77JIUtfmXFhGXpi96P3S3u0vkTn7tpY_JXtF-bQNNUqAbr5H0Nk9s4fG5v36q-f27Rwg5ufEYMyWqGzk5tKSz1NSmbaGKCVBQlZZzr7d8JF-clawS9RnTkDu_7-mjc/s1600/3.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
La dimora è
rappresentata sul palco da un tavolo e sedie rivestiti di stoffa bianca, con un
set di tazzine da tè: uno scorcio che con le sue piccole quinte allude ad
angoli della casa che devono rimanere segreti. Luci bianche e ombre fanno
pressione a un’atmosfera macabra, accompagnata da strumenti a corda pizzicati e
tamburelli salentini.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Ritroviamo
le due protagoniste in sala da pranzo a disquisire della poca serietà di Imma,
a cui dover imporre più rigore e arte del risparmio economico. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIE47mMrwmt_SiYBC__80mZkJNEBqY-_5ANsvgKzMHUZNQ9gihmmHL57VdqfapLwr2UpggEJpxnoNOQLwANAY3lKGDstIcS4nfJwdi2oHR3zOuvFtiG0kX555-WBXMkCToAa7ys9-kbrE/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIE47mMrwmt_SiYBC__80mZkJNEBqY-_5ANsvgKzMHUZNQ9gihmmHL57VdqfapLwr2UpggEJpxnoNOQLwANAY3lKGDstIcS4nfJwdi2oHR3zOuvFtiG0kX555-WBXMkCToAa7ys9-kbrE/s1600/2.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Tra urla, pianti
e imposizioni emerge chiaro il carattere psicolabile delle donne, in fondo
ancora bambine. Comportamenti figli di traumi infantili che sono stati
somatizzati e rinchiusi in un carillon (simbolo della spensierata fanciullezza)
che le donne-bambine regalano a ogni ospite che le va a trovare. A varcare la
soglia di casa è la giovane Bianca Nicolini (<b>Irene Geninatti Chiolero</b>), che
cerca una stanza in affitto. Una presenza equilibrata, anche nei colori che
indossa, tanto che incute quasi timore alle sorelle: coalizzate in una
relazione ambigua in bilico tra amore fraterno e carnale, desiderano offrire l’invadente affetto anche all’ospite,
che scappa spaventata.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Poi c’è Remo,
il maggiordomo calvo. Il narratore vestito di grigio, interpretato dal
regista <b>Gianvito Pascale</b>, apparecchia e sparecchia la tavola. Costretto a
fingersi sordo muto, nella seconda parte svelerà la psicosi della vicenda: il carillon
regalato a ogni ospite della casa simboleggia l’uccisione di questi ultimi,
“loro non uccidono, ma è come se lo avessero già fatto”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvtA2dSfXSkrJfYdiH_jvJjAcJRzBFQ4V35qIrh3PaRp7VQp9eQnnZ3JK7CTjnw97u-W_8MtrExpM9BLW7vCZuHLwDGKsvnDBEy4U1Yn8iCw1KbZk1TqDws1kYuQDiV4kRQOsFxocR-HE/s1600/4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvtA2dSfXSkrJfYdiH_jvJjAcJRzBFQ4V35qIrh3PaRp7VQp9eQnnZ3JK7CTjnw97u-W_8MtrExpM9BLW7vCZuHLwDGKsvnDBEy4U1Yn8iCw1KbZk1TqDws1kYuQDiV4kRQOsFxocR-HE/s1600/4.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Tra le
distese di ulivi centenari e nenie di chiesa, a cui le due fedeli non mancano
mai una domenica, la sorella più piccola confessa al suo animo – e allo
spettatore – il disprezzo per una madre presente ma prigioniera delle
pasticche. Incapace di badare alle
figlie, di capirle, di giocare con loro, e nemmeno di ascoltarle suonare: le note del
pianoforte suonate dai pargoli si infrangevano contro le pareti, invano,
disprezzate dal mal di testa della madre, ormai senza forze. E ci confessa
ancora di urla straziate, mentre accarezza le sue bambole.<a href="" name="_GoBack"></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Le mura
della casa stanno strette, restituiscono soffocamento e inquietudine.
L’unico barlume di luce sono le immagini proiettate sul fondale del palco, che
raffigurano una foto delle bambine in tenera età e un muro di mattoni
rossi. La madre, incarnata ora nel corpo
della sorella maggiore, fissa il vuoto e giustifica la sua scelta di murare
vive in casa le sue figliolette per una vita intera. Intendeva proteggerle
dalle maldicenze del paese, dalla sozzura del mondo. Passano una vita senz’aria, ma protette: da
cosa?</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Così il
teatro ritorna alla sua antica funzione, quella di ricordare i sacrifici umani:
le due donne, uccise dalla madre, ritornano a presentare le loro vite tormentate
solo tramite il racconto. Il delitto, compiuto tanto tempo prima, viene in
questo modo espiato tramite l’incontro col pubblico. Sembra quasi che la morte, anche se terribile e per soffocamento, sia una liberazione da quella casa che toglie il respiro: la corda annodata al collo che “co-stringe” dunque alla libertà.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXMG4ql98TQOxlCzLfAg5IeoZVt5KWEbHuBRR5U_53nqOEnW8kYF4aKBzG54P05Sb2a4p8jsQMnirP4hmWbf_lCLkJj02ctmHit8MR9Fi2CV4FX_vhxSzZWEsI8BnXX0kM7YLAMc8pJB0/s1600/5.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXMG4ql98TQOxlCzLfAg5IeoZVt5KWEbHuBRR5U_53nqOEnW8kYF4aKBzG54P05Sb2a4p8jsQMnirP4hmWbf_lCLkJj02ctmHit8MR9Fi2CV4FX_vhxSzZWEsI8BnXX0kM7YLAMc8pJB0/s1600/5.jpg" height="425" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
Visto all'<b>Officina Teatrale dei Malcontenti</b>, Bologna</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: right;">
<b>A.S.</b></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-15148996280196315522014-04-08T15:37:00.000+02:002014-04-08T15:50:01.533+02:00La biblioteca ritrovata di Eleonora Duse: la ri-scoperta di Cambridge domani nell'Aula Magna Santa Cristina<div class="MsoNormal">
"Vi invio l’invito a una manifestazione importante.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Riguarda infatti la scoperta a Cambridge della biblioteca di
Eleonora Duse che si credeva perduta.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
E, di conseguenza, la scoperta della sua straordinaria
cultura (tutti i suoi libri sono stati schedati).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Un abbraccio,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Laura Mariani"<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Professoressa all’Università di Bologna, <b>Laura Mariani</b> (assieme
alla <b>Centro delle Donne Città di Bologna</b> e <b>Orlando, Associazione di donne</b>) ha organizzato
un pomeriggio di studio per avvicinare
studenti, studiosi e curiosi all’ arte della grande attrice ottocentesca
Eleonora Duse (1858-1924).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
L’appuntamento è domani 9 aprile 2014 ore 17.00 nell’Aula
Magna di Santa Cristina.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><b>Mercoledì 9 aprile 2014 ore 17.00 </b></span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Aula Magna di Santa Cristina<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Via del Piombo, 5 Bologna<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><b>La biblioteca ritrovata di Eleonora Duse</b></span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
a cura di Laura Mariani <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<!--[if gte vml 1]><v:shapetype id="_x0000_t75" coordsize="21600,21600"
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<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Presentazione del libro<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b>The Murray Edwards Duse Collection</b>, Mimesis 2012<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
alla presenza di Anna Sica e Alison Wilson.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Letture dal libro di<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b>Anna Amadori, Francesca Ballico, Laura Grossi, Silvia
Lamboglia, Marinella Manicardi, Mirella Mastronardi, Francesca Mazza.</b><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
Piccola esposizione di libri su Eleonora Duse posseduti dalla Biblioteca Italiana
delle Donne<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-8537790788373678012014-03-27T10:26:00.002+01:002014-03-27T12:14:51.116+01:00Barbablù: alla ricerca delle origini del male, contro le ipocrisie della società<div class="MsoNormal">
Avevamo lasciato la sala del <b>TeTe</b>, a novembre, sperando in una
risposta: perché Barbablù entra in scena, perché in quel preciso momento e
senza apparente motivo?<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sono passati quattro mesi e, a rifletterci bene, una
risposta poteva benissimo non esserci, o meglio, la risposta poteva
tranquillamente risiedere nell’ovvio: Barbablù è la favola dell’uomo che impone
e della donna che subisce, il carattere di ciascuno valga da giustificazione all’agire.
Ma una risposta di questo tipo avrebbe deluso, e i perché sono tanti: non è
questa la poetica di <b>Peso Specifico Teatro</b> e della sua regista-drammaturga <b>Roberta
Spaventa</b>, non è questo il messaggio che anima la rassegna <span style="background-color: white;"><a href="http://andantemodena.wordpress.com/funambola/"><span style="background-position: initial initial; background-repeat: initial initial;"><b>FunamboLa</b></span> </a>(contenitore scelto
per presentare lo spettacolo) e, soprattutto, non ci sarebbe stata differenza
tra questa e le numerose letture, teatrali e non, che la favola ha avuto. In
sintesi, la domanda sarebbe diventata: a che pro? Francamente, non ne sarebbe
valsa la pena.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background-color: white;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGeb0A58WbKJRuTt-tNWX6mAeBVpDfcESI1-AeHnLB_O_CIKalDn54m8zBX7sw1T3Wt4YPeZ-0X21IDIxTkl_sB5iGcJAPfNH3t8cZMxHXwnTlQyEDMQ0cqRMz18w7dCLyLybHDnQ-6Dc/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGeb0A58WbKJRuTt-tNWX6mAeBVpDfcESI1-AeHnLB_O_CIKalDn54m8zBX7sw1T3Wt4YPeZ-0X21IDIxTkl_sB5iGcJAPfNH3t8cZMxHXwnTlQyEDMQ0cqRMz18w7dCLyLybHDnQ-6Dc/s1600/1.jpg" height="265" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background-color: white;">Invece la risposta è arrivata, e il lavoro presentato non ha
deluso le attese. Lo studio di novembre fa da zoccolo duro nella prima parte
dello spettacolo: la partitura fisico-emozionale delle due attrici in scena non
cambia, acquista maggiore fluidità grazie anche ai ritmi più ragionati
nell’alternare scatti rabbiosi a momenti di grande intimità tattile, mentre il
dualismo caratteriale fa ancora da binario conduttore nel racconto della
crescita dell’identità femminile tra le pieghe e le catene dell’opinione
comune. Rimane anche il riferimento all’idea della femminilità come habitus, e
le dolci parole del <i>Cantico dei Cantici</i> questa volta nascono direttamente dalle
bocche delle due fanciulle, mentre indossando le loro gonne ampie, con le note <span style="background-position: initial initial; background-repeat: initial initial;">dell’<a href="http://www.youtube.com/watch?v=2bosouX_d8Y"><i>Ave Maria</i> di Shubert</a></span>
che introducono questo momento di alta emozione, ultimo istante di innocenza
prima della definitiva coscienza caratteriale. Lo spazio vive e respira con più
consapevolezza nel descrivere le due diverse entità femminili, e se da una
parte troviamo la donna che subisce dimenandosi (<b>Francesca Iacoviello</b>) e la
continuità del suo movimento, eterno carillon che incarna la circolarità del
male, al centro assistiamo al movimento lineare dell’altra donna, colei che sorride
ingannandosi (<b>Cristina Carbone</b>) e lo spasmo del suo desiderio. A questo punto
inizia a manifestarsi Barbablù: sono piccoli richiami sonori quelli che l’ombra
misteriosa lancia alle due fanciulle, quasi degli ordini espressi in codici
capaci di agire sull’inconscio e di portare i fluidi movimenti della donna
all’automatismo e all’assunzione di posizioni statuarie, a ricordare agnelli
piegati dal sacrificio ma anche samurai pronti alla lotta. Perché è questo il
barlume di luce che dall’ingresso di Barbablù in poi anima lo spettacolo: la
possibilità di lottare, di scegliere, di giocare la propria battaglia d’identificazione
senza cedere agli indici puntati della società e del pensiero comune. Ma tutto
questo si chiarirà agli occhi dello spettatore a tempo debito: siamo ancora nel
buio del bosco, ora, in quel caos di emozioni e paure che vivifica la fase
centrale del cammino di ciascun essere umano, uomo o donna che sia, e le due si
ritrovano schiena a schiena, ginocchia al petto, a rispondere al gioco dei
richiami sonori dell’ombra che le cerca, le attrae, le identifica. Il primo
segnale di presenza tangibile dell’uomo è la parola scritta che definisce il
territorio dell’agire e dà inizio all’opera di persuasione: dei post-it gialli identificano
le </span>porte del castello di Barbablù, e ogni frase riportata è un richiamo che
permette alle due donne di ritrovare la nenia della loro infanzia, la placenta
di conoscenze e luoghi comuni che le ha avvolte nella loro ricerca dell’io e
nel loro modo di pensare l’altro. È questo l’amo che le porta a entrare dentro,
a vivere l’incontro con quest’uomo come si vive il primo amore, con la giusta
dose di innocenza e incoscienza. </div>
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<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGue8Z_h_cjzi-kFcI1DyBrMbRSWS0mvPmZ3SJQ2vBvkDY23KQJKEETCvV0Kkm2nlDsJzvtmj1A-wlomCQbFdAK6Bq-4z5pnpjFw2aQK1lp3y5ftf0n9A77X5EYpkTjgt3cBzhkE0Pv6E/s1600/IMG_6791.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGue8Z_h_cjzi-kFcI1DyBrMbRSWS0mvPmZ3SJQ2vBvkDY23KQJKEETCvV0Kkm2nlDsJzvtmj1A-wlomCQbFdAK6Bq-4z5pnpjFw2aQK1lp3y5ftf0n9A77X5EYpkTjgt3cBzhkE0Pv6E/s1600/IMG_6791.jpg" height="640" width="425" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Così la donna (un singolare che si sdoppia
nei due personaggi in scena) accetta di varcare la soglia e di continuare la
sua crescita sotto il segno del maschio che domina: è lui a cantare la
canzoncina di buon compleanno, è lui a sorprendere con regali impacchettati e a
incoronare la femminilità con una lunga fila di perle rosse (da sottolineare
come lui regala ma loro legano intorno al collo, perché se è vero che sono gli
altri a metterci al guinzaglio è pur vero che spesso siamo noi a definirci
sempre più vittime) ma è anche lui a spegnere la candelina e a esprimere il
desiderio, perché lui è l’incarnazione del desiderio della donna: è unico,
fuori dalle righe, stravagante, nel suo mondo fatto di suoni e richiami creati
appositamente per dirigere e veicolare l’attenzione, lui è la star, come
testimoniano le lucine rosse da night-varietà che illuminano Barbablù (<b>Santo
Marino</b>) nel suo attimo di gloria eterna. Si gioca all’uccellino in gabbia
vittima dei desideri sadici del gatto che si diverte a regalare piccoli momenti
di gioia, mentre conduce la vittima verso la tortura finale, e tra questi rientra
il dono della scelta. Compare la chiave di Barbablù tra i regali che la
crescita consegna nelle mani della donna, compare la possibilità di scegliere
tra il rischio del sapere o la soppressione del desiderio perché vittima della
paura, si reitera l’archetipo della donna che coglie la mela e condanna al
male. Ma tutto prende un’altra piega: una volta scelto il sapere, entra in
campo la violenza di Barbablù ed entra in scena Michela Rosa. Altra figura di
donna, priva di colorazioni emotive, che accompagna l’uomo nell’espressione
della violenza offrendosi come partner in una danza fatta di cadute e rialzi, e
terminata con uno strappo deciso alla collana di perle, icona perfetta delle
teste mozzate ma soprattutto rottura decisiva nella lettura della fiaba. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlRcBoBqwLN0kvuH2LloGANXsGzAGPFZJ7epkqGDgheG_46LfcH6L_YGKTAUuXxIOIBHtTf23lA0F7fsbFhSbsZ6iYSaLjro-HI5Q0TRVNiGer_irrL2oTnco1x6hrhfcSGaothB1-PTI/s1600/IMG_6802.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlRcBoBqwLN0kvuH2LloGANXsGzAGPFZJ7epkqGDgheG_46LfcH6L_YGKTAUuXxIOIBHtTf23lA0F7fsbFhSbsZ6iYSaLjro-HI5Q0TRVNiGer_irrL2oTnco1x6hrhfcSGaothB1-PTI/s1600/IMG_6802.jpg" height="640" width="426" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
L’uomo
si rivela, sotto la maschera perfida di Barbablù, vittima non meno della donna;
vittima di un dover fare, un dover essere, e la partitura cinesica che vive sul
volto di Marino è mappa perfetta che guida nella scoperta del vero senso dello
spettacolo: sono tutti vittime, siamo tutti vittime e, quindi, siamo tutti
possibili eroi capaci di opporci, di reagire. Di fronte al fatto compiuto
l’uomo (o la donna) prende coscienza e coraggio, è arrivato il tempo
dell’abiura: Barbablù viene spogliato dalle sue vesti di cattivo, e le porte si
chiudono su quel mondo da cui si può scappare, da quella realtà che può essere
sconfitta. Ora è tempo della catarsi, ora <st1:personname productid="la Iacoviello" w:st="on">la Iacoviello</st1:personname> e <st1:personname productid="la Carbone" w:st="on">la Carbone</st1:personname> sono vestite in
abito da sera mentre la terza donna pone fine al suo ruolo archetipico portando
in scena il simulacro del male, lo sgabello su cui sale l’umanità per essere
giudicata e condannata. È un continuo di dita puntate, giudizi gridati,
dialoghi soffocati dalle urla dell’incomunicabilità. C’è aria di tragedia vera,
di solitudine che non ce la fa a rialzarsi perché schiacciata dal macigno del
male di vivere “secondo il pensiero comune”. C’è una circolarità del male che
impedisce la fuga, che piega i corpi, che storce i visi, che caccia fuori la
bestialità da ogni vittima fino a trasformarla in carnefice, continuando nella
distribuzione casuale dei ruoli. Ecco come finisce Barbablù: nella denuncia del
male sociale che non ha distinzioni sessuali, solo limiti culturali. È una
favola che potrebbe finire bene, se solo si prendesse coscienza dell’importanza
di valicare i confini e di ritrovare un equilibrio individuale.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Visto al <b>Teatro Tempio</b> di Modena il 21 marzo 2014</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Elvira Scorza</b><o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-17611570110483514482014-03-13T13:54:00.000+01:002014-03-13T13:54:01.864+01:00Dossier Liberata: tra laboratorio e via Crucis<div class="MsoNormal">
“Questa è la Via Crucis di Liberata, povera donna.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla prima stazione è condannata alle pene d'amore,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla seconda cade e si rialza,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla terza si degrada mangiando ossa di animali,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla quarta vede l'innominabile,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla quinta inchiodata sul muro del pianto,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla sesta trasfigurata, ma è solo un'impressione,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla settima mostrata al pubblico ludibrio,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
All'ottava venduta ai farisei,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Alla nona salva ed è dannata,<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
E alla decima, messa in croce, sconta tutto il dolore del
mondo<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
E muore.”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Ogni via crucis, ha i suoi simboli: il sudario, la croce, la
corona di spine. Per raccontare la storia di Liberata servono: pentole di rame,
come quelle di una volta, un velo da sposa, un vestito da serva, un mazzo di
carte, una corda, lucine da fiera, un muro di mattoni, una gabbia di catene e
ferro e le ombre su un tappeto bianco. È la storia di una Romagna immaginaria: dell'ignoranza
che, in un'Italia anni '60, certo contribuiva a rimettere continuamente la
donna al suo posto di madre-serva-angelo del focolare. La storia delle vittime.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_j6uEx9z1QY9MKg8UXy-6Rn8MtvkkeYb9xytR6DAbQZC6awy9LiTzyh8dVlZAJlNuTYwlJEUzjeMiopaWC-JSNJtcBH1p1Hq4MU56k2guDgzxRemdlJ7wrC3X3dIPoITPLYC68mR8A40/s1600/3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_j6uEx9z1QY9MKg8UXy-6Rn8MtvkkeYb9xytR6DAbQZC6awy9LiTzyh8dVlZAJlNuTYwlJEUzjeMiopaWC-JSNJtcBH1p1Hq4MU56k2guDgzxRemdlJ7wrC3X3dIPoITPLYC68mR8A40/s1600/3.jpg" height="424" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
In scena quattro sedie, quattro personaggi condannati beckettianamente a
raccontare sempre la stessa storiella di provincia sospesa tra la nebbia e il
mare, i baracchini da fiera, col tiro a segno e i calcinculo, e il furgoncino
di Italo (<b>Andrea Gadda</b>), uno spiantato ambulante, il bellimbusto di provincia,
l’uomo dei sogni “con la sua sigaretta in bocca come un attore del cinema” che
all’immagine ci tiene perché è la seduzione la sua sola arma. Dunque sarà
meglio che la Liberata (<b>Micaela Casalboni</b>), sua moglie, si sbrighi a prepararlo
bene prima che esca di casa per andare a lavoro.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
L’8 marzo, festa internazionale della donna, <i>Liberata</i>,
scritto nel 2006, è alla sua seconda ripresa all’<b>ITC Teatro</b> di San Lazzaro di
Savena: arriva come un pugno nello stomaco a ricordarci la ciclicità di un
gioco feroce, la crudeltà di un circo di violenza domestica che, con tinte
surreali e felliniane, racconta storie di catene mai spezzate che riguardavano
i nostri nonni e ci riguardano ancora. Quotidianamente storie simili
coinvolgono i lettori e i cronisti di nera che, complici l’uno dell’altro,
ricercano morbosamente il particolare e spiano dal buco della serratura proprio
come gli spettatori cui si fa spesso riferimento durante lo spettacolo. Certo
la nera a teatro ha lo scopo opposto di ciò che si legge sui giornali:<i> Liberata</i>
non è uno spettacolo che sazia la sete di sangue ma spinge piuttosto alla
riflessione, non porta in scena ricostruzioni e plastici e neanche una storia
reale ma una vicenda tanto verosimile nei suoi impulsi elementari da trovare, a
fine spettacolo, una platea coinvolta, curiosa e partecipe al dibattito con
attori e regista.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Liberata, donna di mezza età, bianca di pane, tutta casa e
chiesa, è sedotta e martirizzata da quell’uomo di cui sopporta ogni angheria
perché minacciata con la forza, soffocata dall’ansia di non dare scandalo nel
paese (la platea) i cui occhi le sono sempre addosso. Se ci mettiamo nei suoi
panni la storia, che assume tinte da melò, è già scritta prima di cominciare: è
il suo carnefice l’ultimo uomo rimasto per lei sulla terra. Italo, altrettanto
perfetto contraltare, è affezionato solo alle terre della povera madre di lei e
progetta di lucrarci sopra. I due si sposano, ma solo in comune, così che lui
si senta giustificato nel tradirla con altre donne fino a progettare di
venderla all’assessore locale. Liberata non può accettare quest’ultimo sopruso
e prega un Dio che non si vede, che gioca a mosca cieca, affinché le faccia la
grazia: ecco allora spuntarle la barba come all’omonima santa che nel
calendario cristiano si festeggia tutt’oggi l’11 gennaio. La leggenda medievale
narra di Santa Liberata che, promessa in matrimonio a un re, decide di essere
solo sposa di Cristo, e invoca un miracolo per scampare le nozze. Dio le dona
la barba e lei finisce crocifissa per avere contraddetto la volontà paterna. La
nostra Liberata prima di soccombere sopraffatta dal martirio, compie il
miracolo di salvare Italo dal degrado totale. Il racconto però riparte, in
eterno: le due bambine, rimaste sole, possono ricominciare l'estenuante gioco
di soprusi e umiliazioni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfFCNzqFQpkr96Xu6To27FpwLUqBwFDXR0qVwnvhxJzIuWlt-7LqHxFZY7v6O0DFST7BI1IIRP2ez9_q55TzbEyR__Ppm5cyfpDI0QNbmSlqLg6S5j4NAhyphenhyphenO4FcKcjSCGuxtbsrM2Hb7E/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfFCNzqFQpkr96Xu6To27FpwLUqBwFDXR0qVwnvhxJzIuWlt-7LqHxFZY7v6O0DFST7BI1IIRP2ez9_q55TzbEyR__Ppm5cyfpDI0QNbmSlqLg6S5j4NAhyphenhyphenO4FcKcjSCGuxtbsrM2Hb7E/s1600/1.jpg" height="256" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Italo infatti è vedovo e ha due bambine: sono loro che
attraverso un gioco di disegni portano avanti la storia scaricando paure e
sensi di colpa sulla nuova venuta. Le bimbe sono interpretate da <b>Giulia
Franzaresi</b> (Primo, la ragazza più grande che cela nei suoi sguardi duri gli
abusi del padre) e <b>Frida Zerbinati</b> (Fiorina, bipolare, liliale e demoniaca
bambola, minata nella sua innocenza) che hanno saputo tener testa ai due
eccellenti protagonisti. Le musiche raccontano gli ambienti della storia: vanno
da <i>Casta diva</i> a <i>Besame mucho</i> fino a un popolare motivetto della Cinquetti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Influenze, latenti più che esplicite, per questo lavoro si
ritrovano, oltre che nelle suggestioni del circo di Fellini, di Beckett, della
danza macabra medievale anche in Romeo e Giulietta, infine in Grotowski. A
quest’ultimo ci riferiamo non tanto pensando al martirio del <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Jerzy_Grotowski">Principe Costante</a>,
quanto piuttosto a come le idee del maestro polacco -il suo teatro povero,
ricerca in primo luogo di un rapporto autentico e diretto tra gli attori e col
pubblico- siano fonte inesauribile di ispirazione. Quando scrisse<i> Liberata,</i>
<b>Nicola Bonazzi</b> veniva dall’esperienza dei monologhi per Perrotta, voleva
cambiare e assumersi il rischio della sperimentazione forte della solidità
degli attori dell’Argine che conosceva bene. Una drammaturgia non
autosufficiente dunque, piuttosto la pagina bianca di una scena che non
conclude e che spiazza, perché lascia liberi gli attori di masticare e
metabolizzare il copione restituendo gesti, comportamenti e suoni, direttamente
dal proprio vissuto, dalle proprie esperienze. Infatti agli attori veniva
naturale parlare il loro dialetto in scena e la storia acquistava, grazie agli
accenti tronchi e leggeri di una lingua in disuso, una forza altrimenti
difficile da trovare. Il dialetto da solo non basta, e in più rischia di
ingabbiare la storia nel provincialismo che essa stessa stigmatizza, dunque
bisogna ricorrere ai gesti: il training psico-fisico tenuto da<b> Caterina
Bartoletti </b>assieme agli attori li ha impegnati dalle quattro alle sette ore al
giorno ma alla fine il vocabolario fisico dei loro personaggi ha assunto
accenti talmente netti che, in vista della ripresa, è bastata una sola
settimana di prove a far riemergere ciò che si era sedimentato in questi otto
anni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
L’idea di teatro povero, oltre che nell’ attenzione agli
attori, è nella scenografia minimalista di <b>Nicola Bruschi</b> (ridotta agli
essenziali oggetti elencati sopra), è nei costumi di <b>Cristina Gamberini</b>, è nel
testo in sé e per sé incompleto, perché, come ammette l’autore Nicola Bonazzi,
a contare in questo caso è il pretesto offerto dai contorni sfumati della
tematica, apologo per una scrittura scenica, una drammaturgia consuntiva. Liberata
è caro al Teatro dell’Argine e rimarrà in cartellone perché nella sua
semplicità romagnola contiene tutto e il contrario di tutto: il dialetto di una
piccola provincia e il gesto universale; l’impegno politico ma anche il gioco,
il riso e il pianto, la performance del grande attore e il lavoro d’ensemble;
l’attenzione alle piccole storie e lo sguardo ai grandi pubblici che hanno
fatto di un teatro così attento alla marginalità un teatro internazionale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyqbxAUzZq2nZ5C9Aq7k3g4yo8RvvdZlKgRaPfleoJgPXpvAQnaHP-rNI_B1rYGh6mMbY8F0RT2xRtniSIIuKFvZsvSVA_XR95USVPvOYu20YpOI-35-nFLlsK2ttsmeLo4oYPeccLSSA/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyqbxAUzZq2nZ5C9Aq7k3g4yo8RvvdZlKgRaPfleoJgPXpvAQnaHP-rNI_B1rYGh6mMbY8F0RT2xRtniSIIuKFvZsvSVA_XR95USVPvOYu20YpOI-35-nFLlsK2ttsmeLo4oYPeccLSSA/s1600/2.jpg" height="640" width="424" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Visto all'<b>ITC Teatro</b> di San Lazzaro di Savena, l'8 marzo 2014</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Edoardo Pitrè</b><o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-42027633195456561352014-03-10T11:49:00.001+01:002014-03-10T11:49:26.921+01:00Vittorie, indagini e soprusi: la scalata delle Albe sul caso Pantani <div class="MsoNormal">
Pantani è l’anti storia di un eroe dal tragico epilogo. Dopo
dieci anni dalla morte del Pirata, i fari sono puntati sulla verità, il teatro
si impegna a seguire la vicenda dell’atleta con la bandana, a partire dalle
primissime esperienze in bicicletta. Il piccolo Marco con la passione per il
ciclismo trasmessa dal nonno Sotero, scala le montagne su due ruote, sprezzante
del pericolo. Tornante dopo tornante sfida i soprusi, si batte in prima fila
per difendere lo sport della sua vita, ma a pochi metri dal traguardo, slitta
sul bagnato della droga, depresso da un mondo ingiusto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDVh8uMNis1CWIizb0RbUXStvt3epGlvpf6EFT2k_F5yBUtd9LClzujt6jkppF_ttdMO_n4QtsQPCVFJ3QOu99WjCCBLGK8bvi5G6A41OQcNjGMMU4xSG0vtpK8CRYNkl7zb4lV32Vo3s/s1600/7.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDVh8uMNis1CWIizb0RbUXStvt3epGlvpf6EFT2k_F5yBUtd9LClzujt6jkppF_ttdMO_n4QtsQPCVFJ3QOu99WjCCBLGK8bvi5G6A41OQcNjGMMU4xSG0vtpK8CRYNkl7zb4lV32Vo3s/s1600/7.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il <b>Teatro delle Albe</b> porta in scena l’innocenza di Marco
Pantani, raccontata dall’amorevole sguardo dei genitori, e documentata con
carte, inchieste, e analisi dal giornalista francese Philippe Brunel,
(approfondite nel libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani, edito da Rizzoli).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Scorrono tappe del Giro d’Italia, Tour de France,
allenamenti sugli Appennini emiliano-romagnoli, tra una piadina preparata nella
bottega di mamma Tonina, interpretata da <b>Ermanna Montanari</b>, e i lavoretti sulla
bici per migliorarne le prestazione del babbo Paolo (ruolo affidato a <b>Luigi
Dadina</b>). Video e foto proiettate su un gigante schermo sul fondale scandiscono
i racconti, portano luce su una vicenda liquidata fin troppo frettolosamente
come tragico caso di doping. Si prova a decostruire i pregiudizi a partire
dalle cartelle cliniche, da quelle incomplete analisi del sangue che mostravano
un alto tasso di ematocrito nel sangue di Pantani, in un’Italia che fugge da
Tangentopoli, per rifugiarsi nel mondo ammaliante delle soubrette, messi nelle
mani del governo Berlusconi e dei sogni preconfezionati, acquistabili a rate.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
La Montanari, vestita di rosso e dialetto romagnolo,
ridipinge l’infanzia del bambino prodigio dalle sue prime corse a Cesenatico,
gambe in spalla e fazzulet in testa, alla fama soffocante che lo sbatteva sotto
i riflettori, lontano da casa. Il microfono alternato tra gli attori fa da
cassa di risonanza al successo crescente, a quei racconti delle scalate
iniziate nel 1994. Tecnicismi, antidoping, Coni, Federciclo: nella seconda
parte dello spettacolo si rischia di perdersi nei meandri degli scandali e
della mala informazione mediatica. Dalla fatidica gara del 5 giugno <st1:metricconverter productid="1999 a" w:st="on">1999 a</st1:metricconverter> Madonna di Campiglio,
il tasso di ematocrito alto, le accuse infondate, il divieto di correre quella
gara che vedeva l’atleta romagnolo in testa alle classifiche. Tutto era
calcolato, le scommesse ciclistiche del pregiudicato Vallanzasca anticiparono
l’esito della competizione. Pantani fu allontanato dalla gara, circondato dai
carabinieri come il peggiore delinquente, accusato di assunzione di EPO.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPocfNnfkpCpJprFj32dVDYCTM-_FUh2tAPhtbNdATTZdatpoD_g1Y8YBwHgFQiguhmLM-lYyYNBGfTrufyUrW2SUmyA_vMZt29q0gsMbcczpj5WY2j9zUmxOmQeMak_xO2lnyYOLRu4c/s1600/3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPocfNnfkpCpJprFj32dVDYCTM-_FUh2tAPhtbNdATTZdatpoD_g1Y8YBwHgFQiguhmLM-lYyYNBGfTrufyUrW2SUmyA_vMZt29q0gsMbcczpj5WY2j9zUmxOmQeMak_xO2lnyYOLRu4c/s1600/3.jpg" height="640" width="425" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<b><br /></b></div>
<div class="MsoNormal">
<b>Francesco Mormino</b>, nei panni del giornalista Brunel indaga,
ragiona, dimostra la purezza del vero campione. Pantani si era incaponito per
difendere lo sport di Coppi e Bartali dal fango delle ingiustizie inflitte dal
Coni. Perché hanno moltiplicato i controlli antidoping nel ciclismo? Perché
accanirsi proprio su quello sport? Era una campagna mediatica che aggiungeva
ulteriori controlli, eccessivi rispetto a quelli effettuati negli altri sport?</div>
<div class="MsoNormal">
Mentre i nodi della politica sportiva si sbrogliano, un coro
intona immagini del passato, i panorami visti dai traguardi, i rapporti con
amici, colleghi e fidanzate. In scena <b>Alessandro Argnani, Francesco Catacchio</b>,
<b>Fagio</b>, <b>Roberto Magnani</b>, <b>Michela Marangoni</b> e <b>Laura Redaelli </b>interpretano la
sorella Manola, gli amici della <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Mercatone_Uno-Scanavino">Mercatone Uno</a>, Pino Roncucci il suo primo
allenatore, ed Elisa l’amata che gli fu vicino negli ultimi tempi. Stritolato
dalle calunnie, Pantani si fida della “sostanza”, che crea dipendenza: sicuro
di saperla padroneggiare, ci ha lasciato il 14 febbraio 2004 nella camera di
una pensione di Rimini.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Pantani è vittima sacrificata in nome della lealtà; è eroe;
è teatro d’inchiesta, è svelamento di autenticità scomode da scoprire. Il
Teatro delle Albe si avvicina senza turbare il ricordo di un giusto dato in
pasto alla prepotenza.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5N7PuOqzwoFoUHNHDAXRj4oDGlWEmcLLQKke3i72aI4-Vrkt_H3oDU2zgqVGrzw4UOb8Nv3Fgh_vJqYQBS-mU1-cduztZpZwCrTcSfimk9L1M_Y-HQRfsemmnHiJYArvfeGhyphenhyphenJGeK0Gk/s1600/2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5N7PuOqzwoFoUHNHDAXRj4oDGlWEmcLLQKke3i72aI4-Vrkt_H3oDU2zgqVGrzw4UOb8Nv3Fgh_vJqYQBS-mU1-cduztZpZwCrTcSfimk9L1M_Y-HQRfsemmnHiJYArvfeGhyphenhyphenJGeK0Gk/s1600/2.jpg" height="375" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p> </o:p>“Mamma, indosso questa camicia bianca perché sono
innocente”.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Visto al <b>Teatro Pubblico di Casalecchio</b>, il 4 marzo 2014<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Angela Sciavilla</b><o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-53430769468646713532014-03-09T11:41:00.000+01:002014-03-09T11:41:08.147+01:00FUTURA, ballando con Lucio: Bologna ritrova il suo poeta<div class="MsoNormal">
Sono trascorsi due anni dalla sua scomparsa, ma Bologna non
ha dimenticato il tanto amato <b>Lucio Dalla</b>. Il <b>Teatro Duse</b>, difatti, ne delizia
il ricordo con uno spettacolo di danza, messo in scena dalla giovane compagnia
del<b> Balletto di Roma</b>, magistralmente incorniciato dalle più celebri canzoni del
compianto cantautore.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sin dal principio l’atmosfera profonde di una suggestione
tale da credere di essere stati catapultati in un sogno, in un’amabile fantasticheria
che prende vita nelle note più autobiografiche di Lucio Dalla, quelle della
canzone <i>4 marzo 1943</i>. E la scenografia –un’infinita mole di fogli manoscritti-
contribuisce ulteriormente alla celebrazione di quel piccolo grande uomo che ha
fatto della Parola la ragione della sua incomparabile carriera.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLmILrR7cfwyzV4Kwb_FbQaWPSkwRTmuvdoW_ubFqhso62L0LRXifupy2mh9dRxMTUPIjhYkfyEuiKz1MgVmyInt7vUoBkgavB1SMNZUBP7z9D7IxFMTeN77tGtpjzdBQ1gbMKnSxWKJs/s1600/futura_466x466.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLmILrR7cfwyzV4Kwb_FbQaWPSkwRTmuvdoW_ubFqhso62L0LRXifupy2mh9dRxMTUPIjhYkfyEuiKz1MgVmyInt7vUoBkgavB1SMNZUBP7z9D7IxFMTeN77tGtpjzdBQ1gbMKnSxWKJs/s1600/futura_466x466.jpg" height="400" width="400" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Il medley musicale, realizzato da <b>Roberto Costa</b>, è un
perfetto filo rosso che lega tutta la vita dell’artista bolognese,
ripercorrendo i tortuosi ma affascinanti sentieri dell’Amore, infrangendo
radicati tabù sulla sessualità <i>tout court</i>, sfidando la paura della morte
attraverso i temi del suicidio e dell’esistenza degli angeli. Emozioni su
emozioni che manipolano le movenze dei danzatori per sprigionarsi,
inevitabilmente, nel cuore di ogni spettatore.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
È la firma di <b>Milena Zullo</b> a suggellare le danze e la regia
dell’intera performance, che in svariati momenti –anche troppi, in realtà–
scivola in una forma di recitazione parlata dissacrante, consegnando alla
partitura armoniosa di <i>FUTURA, ballando con Lucio</i> l’unica nota stonata. L’intento
della coreografa votava, di certo, a encomiare la sublime poetica del caro Dalla,
ma una più curata dizione e più appassionata interpretazione dei performer ne
avrebbero assicurato il lustro appropriato. Fortunatamente la voce del
cantautore, potente anche attraverso il freddo impianto sonoro, ha soverchiato questa
malsana iniziativa, regalando al pubblico il fascino di quella duttilità canora
mai dissipatasi nelle nebbie del tempo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3aD9LM8JJQWMdCwHfm25k8y3M3MG9MM3dH3kIHkK3mdxuue4DDR3-Si3YZizZ-MxxKazczO6yrHk0_-jfZaHQh7P2RMyvgbzRf1lJwxWsFFjG4x9x3nAjKv6WK9_eKx_iC6osOvX-E74/s1600/FUTURA-%25281%2529+%25281%2529.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh3aD9LM8JJQWMdCwHfm25k8y3M3MG9MM3dH3kIHkK3mdxuue4DDR3-Si3YZizZ-MxxKazczO6yrHk0_-jfZaHQh7P2RMyvgbzRf1lJwxWsFFjG4x9x3nAjKv6WK9_eKx_iC6osOvX-E74/s1600/FUTURA-%25281%2529+%25281%2529.jpg" height="320" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
E allora l’Eros e Thanatos di Anna e Marco, l’irrefrenabile
bisogno di danzare di <i>Balla balla ballerino</i>, la pluralità dei modi di vivere di
<i>Piazza grande</i> divengono opere d’arte dipinte sui corpi dei danzatori, antologie
di vita quotidiana consacrate all’arte della musa <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Tersicore">Tersicore</a>. Ma, come di consueto,
il sipario dovrà essere calato e il cast conquisterà i meritati applausi del
pubblico in sala.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Il buon Lucio saluterà, dunque, ancora una volta la sua
Bologna dedicandole il rinomato tributo al maestro Caruso, struggente da
mozzare il fiato e accarezzare l’anima con un genuino <i>te voglio bene assaje</i>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Visto al <b>Teatro Duse</b>, il 5 marzo 2014<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Marco Argentina</b><o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-40734855937159374312014-03-05T02:08:00.000+01:002014-03-05T02:08:51.338+01:00Danila Scarlino: “La Bambina” diventa Donna<div class="MsoNormal">
A una settimana dal giorno dedicato al gentil sesso <b>Danila
Scarlino</b> non esita a introdurne le appropriate celebrazioni, impreziosendo lo
scarno palcoscenico della <b>Sala InterAction</b> con tutta la verve da <i><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Flamenco">bailaora</a></i> che
accompagna il suo percorso professionale già da molti anni. Ma non sono i suoi
virtuosismi coreografici a far da padroni sulla scena – o almeno, non solo.
Difatti, a regnare sovrana è la sua essenza di Donna. “<st1:personname productid="La Bambina" w:st="on">La Bambina</st1:personname>”, com’è nota ormai
da tempo immemore, parla al suo pubblico col linguaggio del cuore,
picchiettando il pavimento coi tacchi delle scarpe per scandirne il ritmo assai
vigoroso.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX_lnP85S21-UVOoQCMKxfdIscMkFkmo7Rw0Sim5KvjKZp2kXROARMayU0L5bSymjjX2pCD05br836bxAWpaMr0OiDprFFwTHaB1z1pFOlNnzDegAiFjRrd-YVBDId8P6LOkNpcOdbV-4/s1600/120206_7198.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX_lnP85S21-UVOoQCMKxfdIscMkFkmo7Rw0Sim5KvjKZp2kXROARMayU0L5bSymjjX2pCD05br836bxAWpaMr0OiDprFFwTHaB1z1pFOlNnzDegAiFjRrd-YVBDId8P6LOkNpcOdbV-4/s1600/120206_7198.jpg" height="640" width="425" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Sui flebili solfeggi di una chitarra classica, esegue il
rituale del trucco per indossare i panni di un personaggio ancorato a
irremovibili tradizioni culturali, proprio come un <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/N%C5%8D">attore Nō</a> nella<i> kagami no ma</i>,
la camera dello specchio. E così una copiosa gonna ricamata con <i>rouches</i>, un
bustino di raso, uno scialle dalle lunghissime frange e un vestito da uomo la
imprigionano per sessanta minuti in un crogiolo di cliché, interpretati magistralmente
da ogni movimento di mano, gamba o bacino.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Il suo spirito battagliero, tuttavia, non tarda molto a
rivendicare la libertà che le appartiene: in un flusso di passione vibrante e
<i>pathos </i>palpabile (anche a una decina di file di distanza dal palcoscenico) <st1:personname productid="la Scarlino" w:st="on">la Scarlino</st1:personname> spezza le catene
del folklore per danzare un nuovo flamenco, quello sbocciato nel suo animo
femminile sin dal primo giorno di vita. Il ritmo, dunque, diviene sempre più
incalzante, difficile da seguire persino per l’esperto chitarrista dell’ensemble,
fino a dissolversi nelle commoventi parole della più celebre canzone italiana
dedicata all’universo femminile, <i>Quello che le donne non dicono</i>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Mai note così dolci avrebbero potuto accompagnare meglio l’epilogo
di una tale poesia del movimento!<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNjskNw6LUieqJZ7of0m8weXevK1G7zTgW7_DCZ1Kjarhhw2iaZhfc0KavpZnFi6hmBEpR6J6BaWdFPc4Igohro9iStBhvGKzhG5NLEuRsFxfPSMucvxyLH1447_xIEVnJNbcURxm9I34/s1600/danila-scarlino.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNjskNw6LUieqJZ7of0m8weXevK1G7zTgW7_DCZ1Kjarhhw2iaZhfc0KavpZnFi6hmBEpR6J6BaWdFPc4Igohro9iStBhvGKzhG5NLEuRsFxfPSMucvxyLH1447_xIEVnJNbcURxm9I34/s1600/danila-scarlino.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p> </o:p>Visto all’<b>Arena del Sole</b>, l’1 marzo 2014</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Marco Argentina</b><o:p></o:p></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-42845703614716857762014-02-28T16:05:00.001+01:002014-02-28T16:05:26.230+01:00Il Senso comune della compagnia Teatro dei Venti<div class="MsoNormal">
Buio, o quasi, all’inizio: il buio dei sogni o
dei ricordi.</div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Sul palco una flebile luce permette a malapena
di distinguere l’allestimento della scena. Balzano subito all’occhio una
quantità notevole di taniche, per lo più bianche, più o meno disposte a
delimitare a mo’ di quadrato la scena. Il luccicore latteo del materiale
plastico evoca uno degli elementi che per primi è “senso comune” a Napoli: i
rifiuti. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0UdkqokUIPoJJh_gDsmaJnSH_xS4-WnMRtcxgOwUO0fZVRhjvB7bQn_iJbwOQosUHaDMB9P9j8C-ol7cD2I3s7i5Mu8ETzb5BYllDajKT79wz-KrUgYso5Y2B8MDGPxG_eqlc90w5fZA/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0UdkqokUIPoJJh_gDsmaJnSH_xS4-WnMRtcxgOwUO0fZVRhjvB7bQn_iJbwOQosUHaDMB9P9j8C-ol7cD2I3s7i5Mu8ETzb5BYllDajKT79wz-KrUgYso5Y2B8MDGPxG_eqlc90w5fZA/s1600/1.jpg" height="354" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Taniche-rifiuti in cui i tre attori sguazzeranno, la donna facendole
cadere e cercando convulsamente forse la sua dose, l’uomo rotolandosi su di
esse. Oltre le taniche, delle tende trasparenti contribuiscono a fornire
un’atmosfera onirica e spettrale all’allestimento, soprattutto quando le luci
vengono <i>sparaflashate</i> come in una discoteca, accompagnate da una musica
rimbombante: uno dei momenti centrali della performance e più caotici, in cui
il magma dei sogni o ricordi raggiunge il suo culmine.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Sì, ricordi, perché in effetti lo spettacolo
vede come introduzione il racconto in prima persona del regista, <b>Stefano Tè</b>:
dopo essere entrato in scena nella semioscurità ed essersi seduto, ricorda un
fatto di camorra vissuto sulla propria pelle, uno shock adolescenziale causa
scatenante di quest’allestimento. «Ho raccontato questa storia che non vedrete
per dare il motivo di ciò che vedrete». E dopo questa frase, conclusiva del
racconto, lo spettacolo può veramente iniziare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDAH_i2BO5-kC74c5pabjPVBqrd2kiAhn9IncU0MBzHXTIJ2po9YClJ3SeZG8YR20tGmlwCPb4G6_ePeMmpP6Z_qCbPFQIEfTDTPQH14fjcPkwowo98Tn8ElKRuahIYxNnii59NkKTjUI/s1600/3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDAH_i2BO5-kC74c5pabjPVBqrd2kiAhn9IncU0MBzHXTIJ2po9YClJ3SeZG8YR20tGmlwCPb4G6_ePeMmpP6Z_qCbPFQIEfTDTPQH14fjcPkwowo98Tn8ElKRuahIYxNnii59NkKTjUI/s1600/3.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Un uomo e una donna, poi un altro uomo entrano
in scena. Non sembrano avere nessuna relazione tra loro, anche se spesso le
loro azioni, che si strutturano più per affinità, associazioni, analogie, che
per un vero e proprio filo logico, sono interconnesse provocando suggestivi
effetti di risonanza. Come quando l’uomo beve da una bottiglia e risputa il
liquido in un contenitore. Nello stesso momento la donna s’immerge la testa in
una bacinella, come per auto-affogarsi. Il senso comune ostruisce la gola, la
riempie, fino a far vomitare o annegare. Un senso comune elencato come una
formula rituale, una preghiera blasfema nei confronti di Napoli («Napoli
bocchinara»), di tutto ciò che è Napoli. Preghiera, perché subito prima viene
evocata l’importanza della religione per il mondo partenopeo dall’invocazione
della donna a Maria, nel buio imperante, mentre sullo sfondo un’icona della
Madonna proietta un’avvolgente luce rossa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Un senso comune deforme, alienante, come viene
subito tratteggiato dalla danza oscena di smorfie bestiali e gesti convulsi
dell’uomo, in piedi sulla sedia a prendersi tutta la poca luce della scena,
mentre la donna di casa pulisce. Alieno diventa l’uomo che indossa un casco
nero, da killer camorrista, che pronunciando frasi in un napoletano ostico si
sbatte violentemente la pistola sul casco, mentre una musica inquietante e il
ritmo accelerato del tambureggiare del terzo attore aumentano la sensazione di
angoscia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipAP1xTBMBy2LoiBt_JwoMbzq2EsSMdtYllFdYl1b3X1Pw25OZDJZ8yCdjtoF7WsOJc14GpO6QiZU1GSjVA8ncltj6zGt8Wtegpct8C7A9b8MBGXhCAyV05JF0JZy4xtdIaD9b8aLM5Nw/s1600/4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipAP1xTBMBy2LoiBt_JwoMbzq2EsSMdtYllFdYl1b3X1Pw25OZDJZ8yCdjtoF7WsOJc14GpO6QiZU1GSjVA8ncltj6zGt8Wtegpct8C7A9b8MBGXhCAyV05JF0JZy4xtdIaD9b8aLM5Nw/s1600/4.jpg" height="640" width="574" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Un senso comune falsamente confortante e
kitsch, ostentato dalla canzone neomelodica mimata dalla donna, vestita ora di
nero, che sventola un ventaglio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">L’ipocrisia della tradizione viene svelata:
emblematico il monologo sul rituale sacro del caffè, quando l’attore mostra
però un rituale ben diverso, prendendo una siringa in mano e tagliando la
droga.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Le azioni e le potenti immagini proposte da
uno sguardo visionario ma lucido destrutturano completamente il senso comune
napoletano, mettendone a nudo il sentimento di angoscia e oppressione subiti,
che aggrediscono anche lo spettatore. La ferita è lì, aperta, come ricordano i
rumori dei bambini che giocano e schiamazzano a scuola: rumori che dovrebbero
essere gioiosi, ma che accostati alla routine sconfortante e grottesca dei tre
attori risultano tanto più inquietanti. E il teatro? No, niente catarsi: viene
anzi disprezzato dall’attore nel finale, evocando probabilmente le parole di un
prigioniero in un momento di disillusione nei confronti dell’operato sociale
della compagnia del <b>Teatro dei Venti</b> in carcere. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Resta dunque un’esperienza intensa,
suggestiva, intima, al di fuori di ogni senso comune.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">Visto al <b>Teatro dei Segni </b>di Modena il 27 febbraio
2014<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i>Senso Comune</i></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR">
Regia <b>Stefano Tè</b><br />
Drammaturgia<b> Giulio Costa</b> e<b> Stefano Tè</b><br />
Musiche <b>Matteo Valenzi</b> e <b>Igino L. Caselgrandi</b><br />
Con Igino <b>L. Caselgrandi</b>, <b>Francesca Figini</b>, <b>Antonio Santangelo</b>, <b>Stefano Tè</b><br />
Voce fuori campo <b>Ernesto Mahieux</b> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR" style="font-family: "Calibri","sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US;">
<span lang="FR" style="font-size: 11pt; line-height: 115%;"><a href="http://www.associazionescenario.it/scenario_finale11.htm">Spettacolo
finalista Premio Scenario 2011</a> </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR" style="font-family: "Calibri","sans-serif"; font-size: 11.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US;"><span lang="FR" style="font-size: 11pt; line-height: 115%;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Fabio Raffo</b></div>
Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-41622304091809089172014-02-27T08:58:00.000+01:002014-02-27T08:58:12.782+01:00Italiani Cincali: la migrazione in Belgio prende il nome di Mario Perrotta<div class="MsoNormal">
Squinzano, Brindisi, Ostuni, Monopoli…<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Il treno ci porta indietro nella memoria di sessant’anni fa: un’Italia martoriata dalla guerra rincorre uno spiraglio di luce, trovato per
paradosso nella fuliggine delle miniere di carbone in Belgio. La storia degli immigrati
pugliesi diretti oltre il confine in cerca di fortuna e destinati a lavorare a
fianco alla morte fino alla pensione… di invalidità perché ammalati di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Silicosi">silicosi</a>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjMmVGEF2znXNjrDZHQRPtwmruMqjZQQQgld8QtEX05XYDdHHsRmKTvAVZW3bpN_IY7SSpLCuAKkv2Y5bx03QgXDMxoehBmrUVQyAugvQ-IvF9BjfMxGByoaiUuv9VMoUYCHOGmmfw4EA/s1600/11.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjMmVGEF2znXNjrDZHQRPtwmruMqjZQQQgld8QtEX05XYDdHHsRmKTvAVZW3bpN_IY7SSpLCuAKkv2Y5bx03QgXDMxoehBmrUVQyAugvQ-IvF9BjfMxGByoaiUuv9VMoUYCHOGmmfw4EA/s1600/11.jpg" height="438" width="640" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p><br /></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
L’attore leccese <b>Mario Perrotta</b> indaga, intervista, scava
nel proprio passato da figlio di emigrato per tirare le somme in una storia di
discriminazioni e di soprusi, nata come speranza di riscatto di un popolo sul
lastrico del secondo dopoguerra. I
cunicoli asfissianti dei cantieri, le temperature esorbitanti, il buio che offuscava
anche i pensieri pendono dalle labbra dell’attore che usa solo una sedia in
scena per raccontare e poi naturalmente gli sguardi, i gesti e le tonalità
della voce modulate per i personaggi interpretati. Sì, perché in scena ci sono
il piccolo Mario, che racconta i momenti autobiografici e di cronaca, e Pinuccio il postino, il testimone oculare
dell’intera vicenda. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Cerignola, Foggia, Vasto, Pescara, S. Benedetto del Tronto,
Ancona, Fano.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Un lungo dialogo di memorie intrapreso con ‘<i>a Signuria
vostra</i>, visto dagli occhi di chi l’emigrazione l’ha vista scritta sulle lettere
spedite dai mariti lontani, recapitate alle mogli rimaste sole al paes<span style="background-color: white;">e<span style="background-position: initial initial; background-repeat: initial initial;">.</span> </span>L’unico uomo capace di
scrivere, leggere e fare di conto racconta la storia della povera Puglia,
dall’arrivo dei <i>Longhibardi</i> contrastati dai Bizantini, alle invasioni di Svevi,
Normanni, Turchi, Saracini, Angioini, Aragonesi e <i>Barboni</i> di Napoli «che non trovarono più niente, neanche gli
occhi per piangere».<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Il Postino è la memoria del paese, conosce le storie di tutti
gli emigrati del posto. Legge, immagina, racconta alle famiglie di quanto sia
bella la vita fuori dall’<i>Italì</i>: Brussèl, Stuttegarte, Zuricche e Lièsce, complice
di mariti che nascondono alla famiglia l’orrido della vita da minatore, in
cambio di stipendi, sacchetti di carbone e silicosi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Rimini, Cesena, Forlì, Faenza, Imola, Bologna.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Promesse di lavoro in Belgio, buon lavoro retribuito, la possibilità
di trasferimento dell’intera famiglia sembrano essere il miracolo, la salvezza
per questo popolo. Cinquantamila operai nazionali sotto i 35 anni di età, con
l’ignoranza in spalla e armati di buona salute, non hanno esitato a partire.
Ovviamente in condizioni disagiate: viaggi di 50 ore, alloggi nelle baracche
dei campi di concentramento, imprigionati e accusati di rescissione di
contratto se si rifiutavano di non scendere in miniera. In cambio della
manovalanza prestata al Belgio, l’Italia riceveva 200 Kg di carbone al giorno per
ogni minatore italiano: un ottimo affare per la produzione di energia che
andava appunto a carbone.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Modena, Reggio Emilia, Parma, Fidenza.</div>
<div class="MsoNormal">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Perrotta porta in scena l’inferno con il sudore che trasuda
dai ricordi e dalla sua fronte. Sguardo diretto al pubblico che immedesimato si
fa piccolo per entrare anche lui nelle strettoie di fuoco delle miniere dove il
gas grisù penetra i pori della pelle e dei
polmoni. Scendendo per sette-ottocento metri sotto terra, i racconti
indossati al posto dei cappotti ci stanno stretti e sporchi di nero, ricordano le nostre radici, che non sono
lontane da quelle dei minatori lissù: Italiani <i>cincali </i>ci chiamavano, ovvero Italiani zingari che rubano lavoro ai <i>Belgìc</i> disoccupati. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Piacenza, Lodi, Milano Garibaldi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Le storie tragiche sono decorate da divertenti aneddoti del
postino che, oltre a recapitare lettere, deve far compagnia e “dare conforto”
alle vedove bianche del paese, sole e senza marito. L’uomo fa sani gesti di
altruismo verso le donne in preda a
bollori ormonali: dunque si ride un po’.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Charleroi, 1956: a Marcinelle esplode la miniera di carbone
per una serie di disgraziate coincidenze e assenza di norme di sicurezza sul
posto di lavoro; 262 morti, su 274 lavoratori presenti. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
San Lazzaro 2013: gli applausi vanno a Perrotta, a tutti gli ex lavoratori attaccati a un respiratore per sopravvivere alla silicosi, e a tutti
i morti riportati in vita dai testi di Mario Perrotta e Nicola Bonazzi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Applausi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Visto all<b>’Itc Teatro di San Lazzaro</b> il 22 febbraio 2014<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i>Italiani Cìncali! </i></div>
<div class="MsoNormal">
<i>Parte prima: minatori in Belgio</i></div>
<div class="MsoNormal">
di <b>Nicola Bonazzi</b> e <b>Mario Perrotta</b> </div>
<div class="MsoNormal">
interpretato e diretto da Mario Perrotta </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
dedicato a Lucio Parrotto</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div style="text-align: right;">
<b>Angela Sciavilla</b></div>
<br /><o:p></o:p>Openspaceteatro2011http://www.blogger.com/profile/13632559533889252427noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7961598974798978367.post-71567357243624504042014-02-26T11:55:00.003+01:002014-02-26T11:55:20.929+01:00Riportare al cuore: il ricordo e il ritorno al centro del secondo lavoro di Mario Perrotta sull’emigrazione<!--[if gte mso 9]><xml>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<br />
Avete mai chiesto a un vecchio di raccontarvi la sua
storia? Riusciti a vincere la riottosità e il senso pudico, chissà quante volte
la storia narrata si perdeva oltre i confini personali, e la sua storia
diventava la vostra, la nostra storia… <i>La Turnàta – Italiani cìncali parte
seconda</i> ci porta a confrontarci con le sinapsi scollegate di una cultura
ipocrita, la nostra, che dopo anni di lotte per il riconoscimento di diritti
umani insindacabili richiede e ottiene l’espressione da parte del popolo delle
proprie chiusure ideologiche sull’immigrazione (è tragicamente illuminante il <a href="http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/09/svizzera-si-a-referendum-contro-immigrazione-di-massa/875015/">referendum</a>
che due settimane fa ha riportato la memoria sulle viziosità dell’idealismo
nazionalistico europeo). Protagonista è l’emigrazione, ma non solo:
protagonista è uno stato europeo che sfrutta manodopera proveniente da un sud
che oltre ad essere povero è dimenticato da Dio e dalla Patria, imponendo agli
immigrati condizioni dittatoriali. Protagonista è un bambino di 14 anni che ha
passato gli ultimi dieci in un paese straniero, chiuso in casa a sognare la
luna, vittima di un ergastolo perché colpevole di essere figlio di immigrati e
quindi futuro ruba-lavoro. Come in tutte le storie, i protagonisti hanno un
nome: il paese cattivo è la Svizzera, il sud del sud è la Puglia e il bambino
si chiama Antonio detto Nino, ma questo perché questa storia nasce da
un’esigenza personale, da un uomo alla ricerca della sua identità cha ha
riallacciato il suo cammino con il suo passato e ha trovato sulla sua strada
testimonianze di uomini partiti, schiavizzati, incattiviti da un mondo di <i>patruni</i>
e <i>garzuni</i>. Quest’uomo risponde al nome di <b>Mario Perrotta</b>; ed è lo stesso
Perrotta, nell’incontro post-spettacolo, a ricordare come quel bambino che ieri
si chiamava Nino, oggi si può chiamare Assef e il paese disumano che sfrutta
emigrati per i lavori che i suoi cittadini non si abbassano a fare può
tranquillamente prendere il nome di Italia.<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Seduto, con una gestualità e uno
stile narrativo meravigliosamente meridionale, Perrotta dà corpo a un testo
dove le trovate narrative riescono a guidare il pubblico dal riso più genuino
al silenzio della meditazione (e il merito va riconosciuto anche all’altro
autore, <b>Nicola Bonazzi</b>); un pubblico che non solo riempie la platea dell’<b>ItcTeatro</b> ma
invade anche il palco, circonda la voce di questo attore-cantore che riscuote
le ceneri del nostro essere: in un’ora e mezza di spettacolo scopriamo di
essere figli di quelle sofferenze, di quegli uomini che hanno permesso
all’Italia di rialzarsi mettendo sotto i piedi la loro dignità di lavoratori, e
che nessuno lo vuole ricordare, nemmeno i protagonisti. Perrotta riparte con la
seconda tappa del <i>progetto Cìncali</i>, questa volta per raccontarci il ritorno e i
differenti tipi di ritorno:<i> nna enùta è solo nna enùta, mentre la turnàta è per
sempre</i>… una venuta è il tempo di mettere piede sulla tua terra, e respirare la
tua aria. Una venuta è quella che negli anni sessanta costringeva i lavoratori
stagionali a tornare a casa, dopo undici mesi di lavoro in Svizzera, e sperare
nella chiamata del padrone, nella conquista del permesso da lavoratore annuale,
nella possibilità di ripartire ma con la tua famiglia e di vivere insieme sotto
lo stesso tetto, liberi. Il ritorno, è un’altra cosa: è quando arrivi perché
non devi partire più. Questa è la storia di una <i>turnàta</i> raccontata da Nino
all’indomani della morte del nonno, l’unica voce che regalava sapere, ricordi,
coraggio al bambino costretto a vivere nell’oscurità, nella paura. Sogna la
luna, il piccolo Nino, perché il nonno gli ha confidato il segreto della vita
dopo la morte: il corpo rimane, noi ce ne andiamo e diventiamo altro. In quella
sera del ’69, il nonno si abbandona al sonno eterno e si unisce alla cordata <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Neil_Armstrong">Armstronge compagni</a>, alla conquista italiana della luna. Sogna la sua terra, Nino,
perché il nonno gli ha raccontato che è la terra più bella che ci sia, e sogna
di ritrovare, nascosto in quella terra, il segreto che ha spinto il nonno a
partire, a sradicarsi con il rischio di non tornare più. Pensa al nonno, Nino,
quando chiuso nel bagagliaio oltrepassa il confine e gli dice di non aver
paura, quando sarà chiuso nella sua bara, che basta ascoltare il battito del
cuore e tutto passa. Vive in un mondo altro, Nino: in un mondo dove il
comunismo è una squadra scarsa ma combattiva di terza categoria con una
formazione internazionale dove spiccano Tito e Marx, i bambini solitari si
confidano paure solo nei sogni e nei pensieri e Albano dedica le canzoni a
quella terra mai conosciuta, a quella paura mai superata. Mentre il nonno parte
alla conquista della luna, Nino si avventura verso un passato ascoltato ma mai
vissuto. Riconquista con i suoi piedi la sua terra e lì riporta le sue radici. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
È
lui il depositario del passaggio, della circolarità del tempo, della giusta
fine: scavando alla ricerca del segreto promesso dal nonno, ai piedi degli
ulivi colmi di frutti, Nino trova un foglio di carta con sopra scritta la
promessa che quella terra diventerà casa per i suoi figli e i figli dei suoi
figli. Il viaggio dell’eroe si conclude con la conquista del tesoro e
dell’identità: nella sua terra il piccolo Nino costruisce la sacra dimora dei
suoi ricordi, si riallaccia alle volontà dei padri e con le sue mani riscatta
il loro dolore. Ma siamo pronti a scommettere che anche in questo caso la
storia si presti a sostituzioni di personaggio, e al posto del quattordicenne
che torna in un paese sconosciuto possiamo immaginarci un uomo sulla trentina
che scava nel suo passato dimenticato, e ce lo regala sulle tavole di un
palcoscenico ancora, dopo dieci anni, con le lacrime agli occhi. Perché anche
Mario Perrotta, come Nino, ha avuto paura del buio e probabilmente anche a lui,
per salvarsi, è stato necessario ricordare.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
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<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">La
Turnàta – Italiani Cìncali parte seconda</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif";">di
<b>Nicola Bonazzi</b> e <b>Mario Perrotta</b></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif";">diretto
e interpretato da Mario Perrotta</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif";">Visto
all’<b>ITC Teatro di San Lazzaro</b> il 23 febbraio 2014</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br /><br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b>Elvira Scorza</b></div>
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