Da qualche tempo a questa parte, forse dalla Tragedia
Endogonidia, di cui si potrà riprendere il concetto base di elaborazione, si
può affermare che la creazione artistica di Romeo Castellucci e della Socìetas
Raffaello Sanzio proceda per endogenesi. Come viene spiegato nel foglio di
sala, soprattutto Go down, Moses – la creazione di Castellucci nel quadro del
Festival d’Automne che ha dedicato uno spazio d’onore all’artista italiano –
sembra approfondire tematiche e immagini che il regista si porta appresso fin
dal Velo nero del pastore.
Allo stesso modo Le sacre du Printemps facente
parte della rassegna dà l’impressione di elaborare all’interno della sua stessa
struttura questo concetto di endogenesi. A voler paragonare lo spettacolo a una
visione filosofica – e chiunque segua anche superficialmente il percorso
artistico e concettuale di Castellucci non potrà non essere stupito dalla vasta
costellazione del corpus filofosico e teologico citata negli approfondimenti
teorici dell’artista – esso potrebbe richiamare la struttura rigida tripartitica
della dialettica hegeliana, ovvero Tesi, Antitesi e Sintesi. Del resto, forse è
proprio questo eccessivo schematismo a fare di questa creazione una proposta
interessante, ma minore nel percorso artistico castellucciano.
Prima
parte, dunque, o la Tesi: lo spettacolo si apre con l’ascolto nel buio della
registrazione del famoso pezzo di Stravinskij che dà il titolo alla creazione,
dopodiché la scena si rivela in tutta la sua nudità. L’assenza di performer o
semplici esseri umani in tutta questa prima e lunga parte è emblematica. Il pubblico
ha modo di osservare un complesso dispositivo di macchine che dall’alto
scaricano polvere su tutto lo spazio scenico. La Tesi può dunque essere
apprezzata quasi come un’opera astratta: lo spettatore si ritrova a contemplare
e ammirare i movimenti delle macchine, la polvere che cade al ritmo della musica
stravinskiana e le luci che sottolineano adeguatamente lo spostamento del
dispositivo. In questa prima parte Castellucci sembra voler seguire le orme
degli esperimenti avanguardisti più radicali, in cui l’elemento umano nel
teatro viene abolito, in favore di una pura e ben temperata sinestesia di
musiche e luci, grazie alla costruzione tecnologica, di Christian Schubert e
L58, che diventa protagonista.
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Caduta delle polveri durante l'inizio dello spettacolo |
Seconda
parte o Antitesi: dopo aver dato modo allo spettatore di entrare in questo
diverso modo di contemplazione, mentre Le Sacre sta per finire, un velo di
tulle (alla maniera dei simbolisti) copre la scena. Possiamo intravedere dietro
delle figure umane, con tute e maschere antigas, che riordinano la scena,
togliendo la polvere e sistemandola in grandi contenitori. Sul velo di tulle
delle scritte bianche spiegano in modo dettagliato e scientifico la
composizione della polvere, ovvero residui di ossa animali, il loro
funzionamento nell’agricoltura, e quanta polvere è stata usata per lo
spettacolo, e a quanti animali equivale (75 bovini). Qualcuno nel pubblico successivamente
interpreterà questo testo come una provocazione, altri come un messaggio
vigoroso e polemico ambientalista. Personalmente, sulla base della mia
sensibilità e (poca) conoscenza del lavoro di Castellucci, propendo innanzitutto
a pensare che il messaggio sia volutamente ambiguo e che le varie possibilità
d’interpretazione lasciate allo spettatore possano essere tutte egualmente
giuste e sbagliate. Forse quello che il testo e lo spettacolo più in generale
vogliono suggerire è che il sacrificio evocato nell’opera di Stravinskij nel
nostro mondo contemporaneo non può più essere inteso nella sua eccezionale
ritualità, bensì come una semplice e brutale pratica burocratica che nel
sistema industriale attuale non può non essere espletata quotidianamente.
Sintesi
o coda dello spettacolo: la musica finisce, lasciando spazio a una composizione
di Scott Gibbons. Il velo si apre, riusciamo a distinguere meglio gli uomini al
lavoro. La scena ricorda così un vero e proprio macello – e del resto il
Théâtre de la Villette si erge sulle rovine degli antichi macelli di Parigi – o
evoca in modo più sinistro anche i campi di sterminio nazisti. Le due parti
precedenti trovano dunque la sintesi in quest’ultima immagine del riordino del
palco in cui la figura umana è ridotta a un mero servo di scena. Il pubblico
può a questo punto decidere quando ritirarsi, perché lo spettacolo è già
finito, lasciando volutamente domande in sospeso, tra le ceneri di uno
spettacolo che si conclude senza concludere.
Visto alla Grande Halle de La Villette il 10
dicembre 2014
Fabio Raffo